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di Alice D’Este

Corriere del Veneto, 30 giugno 2024

“Innanzitutto bisogna fare una premessa, rispetto ai fenomeni di disagio giovanile va chiarito che prima di tutto bisogna intervenire sulla prevenzione. E con prevenzione intendo: affetto, educazione, socializzazione, scolarizzazione. I primi interlocutori di fronte a questo problema sono dunque la famiglia, la scuola, le realtà istituzionali e sociali, la Giustizia interviene dopo”. Il presidente del Tribunale dei minori di Venezia, Lanfranco Maria Tenaglia non ha dubbi: “Bisogna agire prima”, spiega.

Cosa intende?

“Le azioni efficaci che possono realmente dare una scossa al fenomeno devono essere in grado di prevenirlo. Noi, agiamo in un secondo momento. La giustizia non interviene per reprimere, come spesso viene percepito. Ha piuttosto la funzione di aiutare a recuperare di fronte all’errore, di creare le condizioni per un reinserimento pieno nella società. Cito sempre un religioso dell’istituto penale Beccaria di Milano che ricordava la necessità di far vedere ai giovani la giustizia come un’opportunità, come il trampolino per riacquistare la libertà, come una virata un cambiamento, un nuovo percorso”.

La situazione è realmente peggiorata?

“Diciamo che è mutata. Il numero di reati commessi dai minori negli ultimi anni è stabile. Sono però aumentati i reati contro la persona come ad esempio le estorsioni, che sono quasi sempre messe in atto proprio dalle baby gang. Gli indici numerici non sono poi granché variati. Siamo passati da 2.348 nel 2018 a 2.302 nel 2023 in Italia. Praticamente identici. È abbastanza rilevante, tuttavia, che sia cambiata la tipologia dei reati in direzione proprio di reati contro la persona e, diciamo così, fatti in gruppo”.

Cosa si può fare?

“Se da un lato noi agiamo come tribunale per i minorenni in sinergia con i servizi sociali per il recupero del minore è innegabile che ci sia una scarsità di risorse. Tutte le persone che lavorano in questo campo fanno “miracoli” (in tutto il Veneto ci sono 8 giudici minorili, chiarisce ndr). Fa sempre notizia il caso estremo. Non fanno mai notizia i tanti minori che vengono recuperati. Di certo si potrebbe fare molto di più, in particolare agendo sulla prevenzione utilizzando un istituto, l’articolo 25”.

Di cosa si tratta?

“È stato modificato da poco, l’articolo 25 permette di agire nei confronti di un “minore che mostra segni di disagio” e che in qualche modo dimostra una fatica importante che potrebbe evolvere in una spirale negativa. Spesso è stato usato su impulso delle famiglie che segnalano ai servizi sociali un isolamento dato dall’uso smodato dei social o la dipendenza dalle droghe. Su queste segnalazioni si può intervenire con i servizi sociali ma anche con il tribunale per i minori direttamente. Vista la diffusione del fenomeno, però, mi chiedo se non sia arrivato il momento di fare anche un’altra riflessione”.

Quale?

“Comincerei pensando alla possibilità di educare precocemente i giovani, fin dalla scuola all’uso consapevole dei social ad esempio. Anzi, non tanto all’uso in cui sono naturalmente ben più scafati di noi, ma alla distinzione tra ciò che nei social è negativo e ciò che può essere evitato”.

Cosa pensa del Decreto Caivano?

“A novembre 2022 c’erano negli istituti minorili 320 ragazzi, 420 un anno dopo, 552 ce ne sono ora. Proprio ieri ho autorizzato su indicazione del direttore dell’istituto di Treviso, il trasferimento ad altri istituti 4 ragazzi perché erano in troppi. Se questo fatto attenua il problema del sovraffollamento ne genera altri: quando vengono trasferiti i ragazzi perdono il contatto coi genitori. Il decreto Caivano ha avuto insomma diversi aspetti positivi ma non sono sicuro che aver spostato la bilancia troppo sotto il profilo dell’intervento penale immediato ci porterà ad avere davvero dei giovani recuperati al termine del percorso”.