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di Giuseppe Lo Bianco

Il Fatto Quotidiano, 8 agosto 2022

La trattativa ci fu. Ma gli ufficiali dei carabinieri vengono assolti perché, contattando Ciancimino, “non vollero rafforzare la minaccia mafiosa allo Stato per strappare al Governo concessioni favorevoli agli interessi mafiosi, ma, semmai avrebbero voluto tali concessioni come male e come mezzo necessario per sventare una minaccia in atto”. E fermare le stragi.

Dottor Di Matteo, lei che idea s’è fatto?

Anche questa corte ha ritenuto che la trattativa ci fu, fu iniziata da esponenti dello Stato, fu accettata da Riina e si svolse a partire dalle settimane successive alla strage di Capaci mentre era ancora caldo il sangue delle vittime. Con buona pace di quanti lo definiscono un teorema o fantomatica trattativa. C’è però un passaggio che mi lascia perplesso e mi suscita, anzi, preoccupazione.

Quale?

Quello in cui si afferma che la trattativa era volta ad un fine di tutela dello Stato. Nella sentenza ormai definitiva della corte di assise di Firenze si affermava che quella iniziativa del Ros di contattare Vito Ciancimino avesse rafforzato in Riina il convincimento che la strategia di attacco alle istituzioni pagasse inducendolo a fare altre stragi. Mi chiedo con preoccupazione cosa penserebbero oggi di quelle parole le decine di esponenti delle istituzioni, non solo magistrati, ma agenti di polizia, carabinieri, anche politici che nel contrasto alle cosche mafiose per il rifiuto al dialogo e al compromesso hanno perso la vita.

Cosa teme in particolare?

Temo che la sentenza possa essere letta come una legittimazione a dialogare con la mafia, che faccia passare l’idea che con la mafia si può convivere. Spero che non abbia effetti, noi continueremo a pretendere che gli estorti denuncino i loro estorsori, io continuo a pensare che il comportamento di uno Stato che cerca Riina in nome di una ragione di stato non dichiarata con un atto del potere politico è inaccettabile in una democrazia. Ogni qualvolta lo Stato ha cercato il dialogo con la mafia ne ha accresciuto a dismisura un potere di ricatto notevolissimo. E c’è anche un altro passaggio che leggo con preoccupazione.

Prego...

L’opportunità, nella strategia del Ros, che prevalesse una fazione moderata su quella stragista. Questo è un passaggio preoccupante, sembra quasi distinguere una mafia con cui si può dialogare e un’altra da sconfiggere. Anche questo concetto rischia di sdoganare il principio che lo Stato può dialogare con la mafia.

Sul Ros la Corte ha riconosciuto che la mancata perquisizione del covo di Riina il 15 gennaio 1993 è stato un segnale di incoraggiamento al dialogo per rafforzare il dialogo...

È quello che abbiamo sostenuto noi in primo grado. Oggi la sentenza sottolinea la gravità evidente dell’omissione di un atto doveroso da parte di una struttura di polizia giudiziaria.

La sentenza conferma che tre governi - Amato, Ciampi e Berlusconi - vennero ricattati dalla mafia. Anche se nell’ultimo caso non c’è prova che fu il senatore Dell’Utri a veicolare la minaccia. Lei che ne pensa?

È un problema di valutazione della prova. Anche questa corte riconosce la valenza dei rapporti mafiosi di Dell’Utri anche dopo il ‘92, lo assolve perché non ritiene sufficientemente provata la veicolazione a Berlusconi.

E cosa intende rispondere oggi a quanti negli anni hanno ridicolizzato la vostra inchiesta e il processo definendolo una “boiata pazzesca”?

Spero che storici e opinionisti abbiano oggi la correttezza di dire che la trattativa ci fu. Sono fiero di avere contribuito con gli altri colleghi a far venire fuori fatti e circostanze che sono stati ritenuti provati e che hanno attraversato la storia d’Italia nel periodo più buio dello stragismo mafioso.