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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 10 gennaio 2024

Numeri allarmanti nei dati dell’amministrazione penitenziaria: dall’utilizzo eccessivo della custodia cautelare alle mamme detenute con figli, passando per il sovraffollamento che ha raggiunto livelli altissimi. Mentre il nuovo anno inizia con la triste conta dei suicidi dietro le sbarre, con già due detenuti che si sono tolti la vita, l’ultimo dei quali è un giovane di 27 anni che ha deciso di porre fine alla sua esistenza nel carcere di Padova, la tabella del Ministero della Giustizia aggiornata al 31 dicembre 2023 evidenzia un quadro preoccupante.

La capienza regolamentare degli istituti è ampiamente superata, mettendo in luce la necessità di affrontare la crisi in modo urgente e evitando di ricorrere al vecchio mantra della costruzione di nuove carceri. Con un totale di 60.166 detenuti presenti, il sistema carcerario italiano ospita una quantità di persone ben oltre la sua capienza regolamentare di 51.179 posti, evidenziando un surplus di oltre 8.987 persone. Questo sovraffollamento rappresenta un aumento significativo rispetto ai dati precedenti e solleva serie preoccupazioni sulla qualità di vita dei detenuti, nonché sulla capacità del sistema di garantire un trattamento adeguato e rispettoso dei diritti umani.

L’analisi della tabella rivela disparità significative tra le regioni italiane. In particolare, regioni come la Calabria e la Campania presentano situazioni estremamente critiche. I numeri parlano chiaro: nel sud risiedono istituti penitenziari con una capienza regolamentare che è stata di gran lunga superata. Ma i numeri nudi e crudi non dicono tutto. Prendiamo la Sardegna, dove, nel complesso, ci sono 2.140 detenuti per 2.616 posti: come ha sostenuto Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV”, è un’apparente condizione di privilegio rispetto ad altre realtà della Penisola. Sì, perché a questi dati non corrisponde, come si evince dalla situazione degli Istituti più importanti, una reale gestione rieducativa della pena.

A pesare è soprattutto la carenza di personale penitenziario al punto che nella sezione femminile della Casa Circondariale di Cagliari, le 29 donne sono state sistemate in un solo piano dell’edificio e costrette ai letti a castello con 4 detenute quasi in ogni cella. “Una condizione che sempre più spesso genera tensioni e insofferenza”, aggiunge Caligaris.

Il sovraffollamento è comunque tornato ai livelli di dieci anni fa, quando, come ha fatto notare l’avvocata Valentina Alberta, presidente dei penalisti milanesi, all’epoca la Corte costituzionale depositò una decisione importante sull’eventualità di un differimento della pena nei casi in cui i penitenziari non garantissero condizioni umane di detenzione. Il sovraffollamento è un flagello che, unito all’applicazione di pratiche limitanti, sta minando la dignità umana e alimentando un’escalation di violenza dietro le sbarre. Il garante per i diritti delle persone private della libertà del comune di Milano, Francesco Maisto, ha messo in luce una realtà cruda e allarmante. Il sovraffollamento, associato all’applicazione di circolari restrittive, si traduce in un’esperienza carceraria sempre più opprimente per i detenuti. Laddove la possibilità di avere celle “aperte” viene limitata, il tempo trascorso in spazi ristretti aumenta inesorabilmente, alimentando una serie di conseguenze negative.

Il garante avverte che questa situazione non solo mette a dura prova la salute mentale e fisica dei detenuti ma sta anche dando vita a un pericoloso aumento di comportamenti violenti e autolesionisti. I tentativi di suicidio si fanno sempre più frequenti, una dolorosa manifestazione del grave disagio psicologico vissuto dai reclusi. Il sistema carcerario italiano è diventato un terreno fertile per la disperazione, un contesto dove le condizioni avverse stanno spingendo alcuni individui al limite estremo. Questo stato di cose non è una novità, ma piuttosto un problema cronico che persiste nonostante l’intervento passato della Corte europea dei diritti umani. Già anni fa, l’Italia fu condannata per trattamento inumano e degradante, una qualificazione che equivale a una forma di tortura. In risposta a quella condanna, furono adottati provvedimenti legislativi e amministrativi per affrontare il sovraffollamento. Ma i provvedimenti furono emergenziali, così come lo fu per la pandemia. Finita l’emergenza si rifanno passi indietro. E si ricomincia.

I bimbi dietro le sbarre - I dati aggiornati al 31 dicembre 2023, forniti dal Ministero, svelano anche il lato nuovamente trascurato e doloroso: quello delle detenute con figli piccoli che condividono la loro pena dietro le sbarre. In totale, i dati del Ministero rivelano che ci sono attualmente 20 mamme detenute in Italia, con altrettanti figli al seguito. Questi numeri sono più di semplici statistiche; rappresentano la vita quotidiana di donne che cercano di mantenere un legame con i propri figli, nonostante le difficoltà e le barriere imposte dalla vita penitenziaria.

Ma sappiamo che in un contesto detentivo (nido in carcere o Icam, l’istituto a custodia attenuata per madri), è vana la prospettiva di garantire ai bambini un ambiente che possa promuovere uno sviluppo sano e positivo. Per la legge 62/2011, in Italia un genitore con i figli da zero a sei anni non dovrebbe mai andare in carcere, tranne per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La misura prevista sarebbe la casa protetta o gli Icam. Ma si ricorre quasi del tutto esclusivamente presso questi ultimi, che sono comunque - seppur attenuate - delle strutture penitenziarie.

Si sarebbe dovuto approvare la proposta di legge della scorsa legislatura a firma di Paolo Siani (poi ripresa dalla deputata del PD Debora Serracchiani) che avrebbe puntato soprattutto sulle case famiglia protette. E invece non solo la maggioranza ha affossato questa proposta di legge (ma che, ricordiamo, non fu approvata in tempo nemmeno dalla maggioranza scorsa), ma il governo ha varato delle nuove misure del pacchetto sicurezza, le quali arriveranno presto in Parlamento, che prevedono l’introduzione di un regime più articolato per l’esecuzione della pena per le donne incinte e per le mamme con bambini fino a tre anni e l’eliminazione del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne in gravidanza e le madri di bambini di meno di un anno di età, prevedendo la detenzione negli Icam. Un feroce passo indietro.

Detenuti in attesa di Giudizio - A questo si aggiunge anche un altro dato significativo che emerge dai dati aggiornali a fine dicembre scorso: i reclusi ancora non condannati definitivamente. In attesa di primo giudizio risultano ben 9.259 detenuti. A questi si aggiungono oltre 6mila detenuti tra appellanti e ricorrenti. Il dato chiaro è che a fine dicembre dell’anno scorso, risultano un totale di quasi 16 mila detenuti non condannati definitivamente. Sui 60.166 detenuti presenti nelle patrie galere, secondo i dati pubblicati dal ministero, 44.174 sono i reclusi con una condanna definitiva.

Più volte, attraverso i rapporti annuali, anche l’Italia viene bacchettata dal Comitato anti-tortura del Consiglio d’Europa (Cpt) sul punto. Nei suoi scorsi rapporti annuali, il Cpt ha chiesto di ricorrere alla custodia cautelare solo in casi eccezionali quando non è possibile utilizzare misure alternative e di assicurare a chi è in carcere in attesa di giudizio o di condanna definitiva condizioni di detenzione adeguate. “Data la sua natura invasiva e tenendo a mente il principio della presunzione d’innocenza, la norma di base deve essere che la custodia cautelare deve essere utilizzata solo come ultima misura”, è il principio più volte espresso dal Cpt.

L’organismo del Consiglio d’Europa ha affermato più volte che la custodia cautelare deve essere “imposta per il tempo più breve possibile e deve essere stabilita caso per caso dopo una valutazione dei rischi di reiterazione del reato, di fuga, del tentativo di alterare le prove o altre interferenze con il corso della giustizia”. Inoltre, va presa in considerazione anche la gravità del reato che la persona è sospettata di aver commesso. Quando gli Stati utilizzano la custodia cautelare, devono, ha affermato sempre il Cpt, assicurare a questo tipo di detenuti, “che sono la categoria meno avvantaggiata”, tutta una serie di tutele, che vanno dallo spazio minimo nelle celle a attività giornaliere. Altra utopia dietro le nostre sbarre.