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di Liana Milella

La Repubblica, 14 novembre 2023

Al Senato pronti gli emendamenti per depotenziare il testo di Balboni (FdI) e la sinistra fa quadrato sul diritto di cronaca. Pronti gli emendamenti sulla diffamazione. La sinistra fa quadrato contro i meloniani e la proposta di legge di Alberto Balboni, ma la notizia è che Forza Italia si dissocia dal pugno duro contro la stampa. Da venerdì le modifiche al ddl Balboni sono lì, nella commissione Giustizia del Senato, e potrebbero essere l’occasione buona per frenare il tentativo di mettere definitivamente il bavaglio alla stampa, a colpi di super multe da 50mila euro, e da frenetici viaggi dei giornalisti per rincorrere le querele nei luoghi di residenza dei presunti diffamati anziché nelle città dove si pubblicano i giornali. Fnsi e Ordine dei giornalisti hanno già lanciato l’allarme contro il “buio dell’informazione” schierandosi contro la visione liberticida che emerge dal ddl Balboni.

Adesso, con quel testo in una mano, e gli emendamenti nell’altra, partirà la mediazione politica. Troppo presto per poter dire quale sarà l’esito e se, alla fine, sarà tutelato il diritto di cronaca garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Certo è che, proprio per confermarne la fondamentale importanza, la Consulta aveva chiesto al Parlamento di cancellare il carcere per i giornalisti. Nel 2021 aveva dato un anno di tempo, le Camere non avevano fatto nulla, e com’è avvenuto per il fine vita, la stessa Corte ha deciso da sola cancellando la previsione della prigione da uno a sei anni, ma al contempo sollecitando la politica a fare “un complessivo intervento per bilanciare la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione”. Da allora tutto è fermo. La scorsa legislatura è passata invano. E il ddl Balboni ci dice che non siamo sulla strada giusta. Ma vediamo come l’incrocio di quel testo con gli emendamenti potrebbero definire il futuro del nostro lavoro.

Il ddl Balboni - Un flash sul ddl Balboni depositato il 16 gennaio che riguarda chiunque pubblichi notizie. Cade completamente il diritto al segreto poiché il testo recita che “il giudice ordina al giornalista professionista o pubblicista di indicare la fonte delle sue informazioni”. Le rettifiche, da pubblicare senza né titolo né commento, immediatamente. Il giudice, a chi non adempie l’obbligo, può imporre una sanzione da 5.165 a 51.646 euro. Obiettivo, la bancarotta della stampa. Pene da 5mila a 10mila euro per la diffamazione. Se si tratta di un “falso determinato” si passa da 10 a 50mila euro, stavolta con cifra netta. Ovvio l’invio della sentenza all’Ordine per le sanzioni disciplinari. Ma non basta. Il processo si farà nel “luogo di residenza della persona offesa”, e non in quello dove si pubblica la testata. Scontata la richiesta di cancellare qualsiasi traccia della notizia.

Gli emendamenti - Ma veniamo agli emendamenti che, soprattutto per la posizione di Forza Italia e del capogruppo in commissione Giustizia Pierantonio Zanettin, avvocato di Vicenza ed ex laico del Csm, nonché ex deputato, potrebbero aprire uno spiraglio di ragionevolezza. Il massimo della pena pecuniaria in caso di mancata pubblicazione della rettifica scende, con Zanettin, da 51mila a 15mila euro, eliminando anche gli incongrui decimali. Il foro competente sarà quello in cui è accaduto il fatto oggetto della diffamazione. Al direttore, al suo vice responsabile, o ai soggetti “efficacemente delegati”, resta l’obbligo di vigilanza. Sulla gravità dell’offesa Zanettin chiede che si tenga conto “del ruolo rivestito dal diffamato”.

M5S, con Ada Lopreiato, Stefano Patuanelli e Anna Bilotti, contesta innanzitutto la formula linguistica della rettifica di uno scritto “ritenuto lesivo della dignità, dell’onore, della reputazione o contrario alla verità” e chiedono che ci si limiti al più sobrio “lesivi della reputazione”. Quanto alla multa basta da 3mila a 30mila euro. La pattuglia dei Dem - Anna Rossomando, Alfredo Bazoli, Walter Verini, Franco Mirabelli - chiede che sia eliminato il divieto di far seguire, alla rettifica, un commento o una risposta, e che esca anche priva di titolo. La multa potrà oscillare solo da 2mila a 5mila euro. Il giudice dovrà tenere conto anche della capacità reddituale del convenuto. Per i dem l’attribuzione di un fatto determinato potrà essere punito con una multa da mille a 4mila euro anziché da 5 a 10mila. Identica la proposta di Ilaria Cucchi di Avs. Allo stesso modo sia Pd che Avs vogliono punire con l’inammissibilità iniziative giudiziarie infondate.

“Cattivissima” invece l’avvocata ed ex ministra leghista Erika Stefani che si limita soltanto ad arrotondare la multa, anziché da 5.165 a 51.646 fa cifra tonda, da 5mila a 50mila euro. E chiede anche, “in caso di accertata sistematica e reiterata campagna diffamatoria” che il giudice possa “aumentare il risarcimento del danno fino al triplo”, cioè stiamo parlando di 150mila euro. M5S ipotizza anche di mantenere la cifra molto alta della rettifica, fino a 51.646 euro, ma “destinata alla cassa delle ammende”.

E siamo al foro competente in cui radicare il processo. Sia Cucchi che M5S scelgono quello di “registrazione della testata “, oppure la senatrice di Avs pensa a quello “di residenza dell’imputato”. Il Pd lascia aperte entrambe le soluzioni, “il luogo di registrazione della testata oppure la residenza della persona sottoposta alle indagini”. Mentre qui Zanettin propone che il processo si faccia nel luogo “in cui è accaduto il fatto oggetto della diffamazione”. Però qualora l’offesa “sia riferita esclusivamente alla persona, allora il giudice competente è quello del luogo in cui è residente la parte offesa al momento della diffamazione”.

Punite, per Pd e Avs, anche le citazioni in giudizio manifestamente infondate. In quel caso “il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese, anche al pagamento a favore del convenuto di una somma non inferiore alla metà di quella oggetto della domanda risarcitoria”. Identica proposta anche dalla pattuglia di M5S, per cui “se risulta la malafede o la colpa grave il giudice anche d’ufficio condanna l’attore al pagamento a favore del convenuto di una somma non inferiore a un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria”. M5S propone anche che l’assolto possa chiedere il ripristino dei contenuti cancellati dai siti Internet.

Infine il Pd propone che venga istituito presso il Mef un fondo di garanzia con 20 milioni di euro per le spese legali nei casi di diffamazione. L’accesso è consentito ai giornalisti professionisti e pubblicisti qualora siano stati condannati al pagamento delle spese legali e siano privi di assistenza legale fornita dal datore di lavoro e dispongano di un reddito annuo complessivo non superiore a 60mila euro lordi.