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di Michele Serra

La Repubblica, 18 novembre 2023

Essere derubati è molto spiacevole. Specie il furto in casa è una violazione durissima da reggere. Lì per lì, se il ladro fosse acciuffato, lo vorresti ai ceppi, punto e basta. Ma il “lì per lì” dura poco, è l’attimo istintivo che la legge poi si occupa, per nostra fortuna, di sottoporre ai modi della civilizzazione.

Apposta esistono norme e convenzioni che guardano alla comunità nel suo complesso: al derubato ma anche al ladro, persona meritevole di punizione e, al tempo stesso, di assistenza: legale e, nelle carceri più avanzate, professionale. L’idea che una recrudescenza delle pene scoraggi il crimine è antica (appartiene all’istinto atavico) e sopravvive anche all’evidenza e alle statistiche, che non confermano affatto quell’ipotesi.

Il cosiddetto “pacchetto” governativo sull’ordine pubblico è in questo senso patetico, perché disperatamente avvinghiato all’idea che le cattive maniere siano la sola via per affrontare il crimine (almeno: il crimine di strada, non certo quello erariale e finanziario, anche se la refurtiva è spesso molto superiore). Nel mucchio ha fatto specie, giustamente, il provvedimento che non considera la gravidanza e la maternità ostative alla detenzione. Qualcuno ha pensato a certe ragazze rom svelte di mano che si fanno scudo della loro prolificità. A me, forse per ragioni anagrafiche, è venuta in mente Sophia Loren in Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica, ininterrottamente incinta per evitare il carcere.

Ma essere stati poveri e avere vissuto di espedienti - così come l’essere stati migranti - non fa più parte, da tempo, della memoria nazionale. Il primo impulso di un popolo di arricchiti è dimenticare la povertà.