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di Eleonora Martini

Il Manifesto, 16 ottobre 2024

Presentate il 3 ottobre ma mai accettate, l’ex toga è ancora vicecapo della giustizia minorile. I deputati del Pd: “Incompatibile nella forma, perché quando è stato scelto era ancora dipendente del ministero di Giustizia, e nella sostanza per l’ambiguità dei ruoli”. “Incompatibile nella forma e nel merito”, la nomina a Garante nazionale dei diritti dei detenuti dell’ex magistrato Riccardo Turrini Vita, ancora di fatto alle dipendenze del ministero della Giustizia. Ne sono convinti i partiti di opposizione, a partire dal Pd, malgrado abbiano appreso dal diretto interessato, audito ieri in commissione Giustizia della Camera nell’ambito dell’iter di approvazione della nomina, che Turrini Vita ha rassegnato le proprie dimissioni da vice capo del Dipartimento di giustizia minorile e di comunità il 3 ottobre scorso.

Lo hanno interrogato più volte, i deputati dem, pentastellati e di Avs che avevano il compito di verificarne titoli e competenze, come prescrive la legge 10 che nel 2014 ha istituito il collegio nazionale, composto di tre persone “non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani” e che “non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici”.

Persona sulla quale in molti metterebbero la mano sul fuoco, in quanto a competenze, integrità, senso delle istituzioni e onestà, Turrini Vita, per vent’anni pure dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha però dimostrato anche ieri, in commissione Giustizia, che la sua nomina è intrinsecamente gravida di rischi. Come hanno sottolineato Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, e il capogruppo dem in commissione Federico Gianassi: “Nella forma, perché al momento della scelta il dott. Turrini Vita era vicecapo del Dgmc, mentre la caratteristica fondamentale di un Garante dei detenuti deve essere quella di una netta indipendenza dalla struttura di controllo, senza ambiguità e confusione di ruoli”, hanno spiegato. E “nella sostanza, cosa ancora più grave”, perché “finora è stato a tutti gli effetti dall’altra parte del campo. Non discutiamo curriculum e competenze - è la posizione del Pd - ma la legge voleva evitare che fosse chiamato a svolgere funzioni di garanzie e controllo chi ha rapporti organici con l’autorità che esercita il potere, non voleva dunque che controllore e controllato coincidessero”.

“Non sono mai stato iscritto a partiti politici né ad associazioni o affini - ha risposto al deputato di Avs Dori Devis, Turrini Vita - solo all’Anm. E non ho mai avuto cariche istituzionali”. Ma le sue dimissioni, rassegnate il 3 ottobre, non sono state ancora accettate dal ministero che da quel giorno non ha dato segni di risposta. Di fatto sono dimissioni mai formalizzate. “Suppongo che derivi dalla claudicante condizione dell’ufficio del personale”, è l’idea che si è fatto l’ex toga “in attesa di pensione”. Nel frattempo però il vice capo del Dgmc passa ancora ogni giorno “in ufficio a prendere le carte e a chiudere i fascicoli aperti”, ha raccontato, senza però adempiere ad alcuna “attività istituzionale”. “Il personale viene ogni tanto a consultarsi con me”: questo è tutto, dice. Ma non è poco.

Non c’è alcun motivo di dubitare della veridicità delle parole di Turrini Vita: “Non sono certo persona che si insinua nelle istituzioni per compiere atti di eversione”. Ed è vero che “il vice capo del Dgmc non esercita funzioni dirigenziali, se non in caso di supplenza”. In più, aggiunge lui, “io sono esperto di esecuzione penale esterna” e nel mio ruolo “ho anche irrorato sanzioni disciplinari ad agenti di polizia penitenziaria”.

Vicino alla corrente di destra Magistratura indipendente, Turrini afferma, al contrario dei deputati dell’opposizione, che lo status di “non dipendente dalla Pubblica amministrazione” imposto dalla legge “deve essere presente nel momento in cui il decreto del presidente della Repubblica viene emanato”. Quindi alla fine dell’iter iniziato il 2 ottobre con la delibera del Cdm che ha accolto la proposta del ministro Nordio per sostituire il defunto Felice D’Ettore a capo del collegio nazionale. Non convinti, i deputati dem hanno espresso “forte preoccupazione” perché “di fronte ad un sistema carcerario al collasso, con un sovraffollamento medio del 135%, vicino al numero della famosa sentenza Torreggiani, e condizioni di vita e di lavoro non dignitose, come testimoniano i 75 suicidi tra i detenuti e i 7 tra gli agenti di polizia penitenziaria”, occorre da parte del governo “un supplemento di riflessione”.

Con un aplomb invidiabile, il magistrato non si scompone: classe 1961 e dunque in odor di pensione, Turrini assicura di voler condurre l’ufficio dell’autorità garante in modo “collegiale”, d’intesa con gli altri due membri (l’avvocata leghista Irma Conti e il giurista Mario Serio indicato dal M5S), “senza pregiudizi” e “proseguendo nel solco di quanto già intrapreso dal primo garante nazionale Mauro Palma, che conosco dal 1997”. “Comunque - assicura Turrini a fine audizione - anche se non dovessi essere nominato, non rientrerò in servizio al ministero della Giustizia”.