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di Chiara Daina

Corriere della Sera, 28 agosto 2024

Come prevenire la dipendenza dalle droghe nei figli? Come capire se ci sono segnali preoccupanti? Intervista alla psicoanalista Laura Pigozzi autrice del libro “L’età dello sballo”. Il dilagare tra gli adolescenti del consumo di sostanze stupefacenti (dalla cannabis alla cocaina e alle droghe sintetiche, come ecstasy e anfetamine), oltre che di psicofarmaci senza prescrizione medica, e di altri comportamenti problematici, legati a un rapporto alterato con il cibo, all’abuso di alcol, di videogiochi e gioco d’azzardo, costringe a una riflessione profonda sul perché le nuove generazioni, rispetto a quelle precedenti, siano più esposte al rischio di sviluppare condizioni di dipendenza da sostanze o situazioni (e anche persone) dannose per la propria salute fisica e mentale. Nel libro intitolato “L’età dello sballo” (edito da Rizzoli), in uscita il 27 agosto, Laura Pigozzi, psicoanalista specializzata nel trattamento di minori e famiglie, partendo dall’uso diffuso di stupefacenti tra i giovani (come testimoniano i dati contenuti nell’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia) e dai disturbi correlati ad essi, prova a comprendere i motivi che spingono i ragazzi ad aggrapparsi alla droga in cerca di un godimento immediato e assoluto, indicando ai genitori la strada per aiutare i figli a crescere in autonomia senza farsi del male.

Chi sono gli adolescenti che più facilmente potrebbero avvicinarsi alle droghe?

In generale, l’adolescenza è sempre un’età a rischio perché il ragazzo è impegnato a diventare se stesso, a formare cioè la sua personalità e la sua identità separate da quella dei genitori. Se per un eccesso di presenza e controllo o per un’assenza di relazione da parte delle figure genitoriali non riesce a sviluppare una sua indipendenza, il distacco familiare risulta più difficile e aumenta la probabilità per il giovane di ricorrere alla droga. In pratica, il consumo di stupefacenti e la dipendenza familiare hanno un legame strettissimo.

Ci spieghi meglio, dottoressa...

La dipendenza verso il nucleo familiare può verificarsi sia a causa di un eccesso di attenzioni da parte di uno o entrambi i genitori sia a causa di uno scarso accudimento da parte loro. Nel primo caso, il caregiver è ingombrante con le sue richieste e interferenze nella vita del figlio. Si tratta di una madre o un padre che pretendono di accompagnarlo ancora a scuola dopo i 14 anni, che gli organizzano il tempo libero, che vogliono essere chiamati di continuo e sapere tutto quello che fa, che non ascoltano i suoi desideri e lo caricano di aspettative troppo alte, magari in attività che a lui non interessano, che gli anticipano qualsiasi bisogno, che si sostituiscono a lui nelle scelte di cosa indossare, fare e chi frequentare, che non lo responsabilizzano e non lo lasciano sbagliare da solo. Nel secondo caso, invece, ci sarà un genitore trascurante, perché troppo concentrato sul suo malessere o i suoi impegni, incapace di riconoscere i bisogni emotivi del figlio, di dargli affetto, di sostenerlo nelle difficoltà e riconoscere i suoi successi, e che nei casi più gravi non si preoccupa neppure di preparargli da mangiare. Sia nella presenza soffocante (un vuoto di presenza) che nel vuoto di assenza genitoriale sembra esserci una frammentarietà di sé così profonda da scatenare nel giovane il bisogno della sostanza stupefacente.

Qual è la funzione della droga?

Si trasforma evidentemente in uno strumento di autoterapia dell’io che si sente incrinato. Oppure la si usa per sentirsi grandi e disinibiti e affrontare il distacco traumatico dal nido familiare, sebbene sia solo la sostituzione di una dipendenza con un’altra. Il piacere immediato che regala la sostanza non tollera la frustrazione dell’astinenza e a livello cerebrale perverte il meccanismo della ricompensa. L’amigdala, ossia la struttura localizzata nel sistema limbico del cervello, quello coinvolto nelle emozioni, svolge un ruolo chiave nel desiderio incontrollabile di restare legati alla sostanza, oggetto o comportamento gratificante, e innesca il circuito della dipendenza se non viene opportunamente regolata dalla corteccia prefrontale, situata nella parte superiore del cervello e deputata al controllo degli impulsi e delle emozioni. La corteccia prefrontale in età adolescenziale non ha ancora raggiunto la sua piena maturazione, che avviene intorno ai 20-25 anni, pertanto la sua funzione regolatrice deve essere temporaneamente svolta dalla figura genitoriale. Se questo ruolo viene compromesso, l’esperienza del limite è messa fuori gioco.

Nel suo libro scrive che “la dipendenza è la malattia del secolo”...

Proprio così. “L’età dello sballo” non è riferita solo all’età adolescenziale, più incline al consumo di droghe, ma riguarda un’intera epoca, la nostra, in cui la disponibilità di stupefacenti non ha eguali nella storia dell’umanità e ogni limite è stato sdoganato: dai supermercati aperti h24 per ottenere subito ciò che si vuole alla richiesta fuori luogo alimentata dai social di essere sempre felici e performanti in ogni momento, tutto l’anno. Inoltre, le generazioni dell’ultimo millennio sono molto più dipendenti dagli adulti. Ci sono tante coppie contemporanee che ormai vivono solo in funzione dei figli e in cui i partner non si parlano più tra di loro.

età dello sballo

La prevenzione contro ogni forma di dipendenza, lo rimarca anche lei, inizia in famiglia. Come i genitori possono recuperare il loro ruolo di guida, ridando dignità ai figli?

Evitando relazioni fusionali e favorendo il processo di soggettivizzazione e graduale autonomia dei figli. A partire da quando stanno imparando a parlare. Il linguaggio per il bambino è la prima forma di affrancamento dai genitori, quindi mamma e papà devono consentirgli di esprimersi alla sua maniera senza rispondere ogni volta al posto suo per dimostrargli come si fa. Il bambino va incoraggiato a mangiare e a dormire da solo il prima possibile e già dai 3-4 anni può essere invitato ad apparecchiare il tavolo insieme. Dal momento che la relazione con i pari è determinante per la formazione dell’identità, si raccomanda la frequentazione del nido e della scuola dell’infanzia. Per favorire nel bambino la capacità di gestire le difficoltà e di autoregolarsi, non intervenire nei bisticci con i fratelli e gli amichetti a meno che non stia succedendo qualcosa di molto grave. Permettergli di affidarsi ad altri adulti, come zii, nonni, insegnanti. Supervisionare i compiti di scuola una volta fatti, ma non farli insieme a loro. È importante che la coppia non si annulli e continui a mantenere un dialogo e degli spazi per sé. E deve sempre fare un passo indietro, lasciando il figlio libero di inciampare e rialzarsi da solo. Lungo tutto il percorso di crescita è fondamentale educare a stare nella noia e nella frustrazione. La dipendenza non tollera la frustrazione, infatti. Chi vuole tutto e subito non tollera il no, il rifiuto. I “no” sono educativi. L’attesa per la ricompensa pure. Ma la frustrazione, che è al centro della relazione tra genitori e figli, sia chiaro, non equivale alla privazione, che invece significa negare oggetti ed esperienze utili per il figlio e la sua crescita. Imparare a vivere la frustrazione è vitale per riuscire a contenere i propri stati d’animo, a rimettere in moto il desiderio e a trovare delle soluzioni, senza scivolare in una dipendenza affettiva, da cibo, droga o alcol. L’esperienza della frustrazione può essere insegnata fin dalla nascita, organizzando l’allattamento a intervalli regolari e non anticipando le richieste di fame del bambino.

Nel libro dedica un capitolo alla cannabis e agli effetti nocivi che può provocare, spesso sottovalutati o ignorati. Quali sono?

Le canne non sono innocue come per molto tempo si è pensato. Oggi tra l’altro la percentuale tossica di Thc, il principio psicoattivo della cannabis, rilevata nei prodotti derivati da questa pianta, hashish e marijuana, che si trovano sul mercato è più alta rispetto a quella degli anni Settanta e quindi gli effetti indesiderati, sia nell’immediato sia dopo usi prolungati, sono più aggressivi. Tra questi ci sono gli attacchi di panico, stati di ansia e di angoscia fino ai sintomi psicotici in età giovane adulta. Se c’è già un caso in famiglia, se si è cresciuti in legami disfunzionali, per eccesso o penuria di cura, e si fa un uso massiccio della sostanza, è più probabile essere vulnerabili a un disturbo psicotico. Questo rischio potrebbe aumentare se si associano consumi di cocaina e amfetamine. Il vero problema è che un adolescente scoprirà solo dopo, a giochi fatti, se potrà reggere o meno l’impatto distruttivo con una droga.

Cosa fare se ci si accorge che il figlio adolescente fa uso di droghe?

Avere un approccio adulto, non consolatorio ma responsabilizzante. Metterlo di fronte al fatto che esiste un problema e che va affrontato e se il ragazzo non vuole parlarne con la madre o il padre può rivolgersi a uno dei tanti sportelli di aiuto psicologico, a scuola o sul territorio, e ai servizi per le dipendenze dell’Asl.