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di Marzia Baldassarre

Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2023

Gli articoli del passato non possono essere rimossi o alterati ma prevale il diritto del singolo a preservare la propria dignità ed integrità - Oltre alla deindicizzazione l’interessato può chiedere all’editore di accompagnare l’articolo con una nota in parola per restituire una conoscenza attuale e reale della situazione

Nell’attuale mondo digitale è nota l’estrema facilità di reperire notizie che non riguardano solo personaggi pubblici, ma anche persone comuni. Talvolta, in tal modo, si viene a conoscenza di vicende particolari, anche di rilevanza penale, che hanno a suo tempo coinvolto dette persone e che sono risalenti nel tempo. Le notizie, pertanto, così acquisite forniscono un’immagine fuorviante delle persone coinvolte non più corrispondente alla realtà attuale ed allo stile di vita in oggi tenuto. Ciò in particolare modo se le indagini penali, per le quali in un primo momento si configuravano gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, si sono poi risolte favorevolmente per questi ultimi con l’emissione di sentenze di assoluzione nei vari gradi del giudizio.

Ci si è, quindi, interrogati su come debbano essere regolamentati i rapporti tra diritto all’informazione e alla libera espressione del pensiero protetto dall’articolo 21 della Costituzione e la tutela della vita sia privata che familiare sancita dall’articolo 7 della cosiddetta “ Carta di Nizza “, la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Carta che, oltretutto, al successivo articolo 8 riconosce espressamente il diritto di ogni singolo individuo alla protezione dei dati personali.

Per meglio inquadrare il problema si deve operare una distinzione preliminare, ma fondamentale. Il c.d. “diritto all’oblio” che è stato elaborato da numerosi interventi giurisprudenziali della Suprema Corte intervenuti in anni recenti trova un suo limine nel ruolo che la persona soggetto della notizia svolge nella vita pubblica.

Così la Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 19681 del 22/07/2019 ha chiarito che “la menzione degli elementi identificativi delle persone protagonisti di fatti e vicende del passato è lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico”. Diversamente prevarrà il diritto del singolo interessato a preservare la propria dignità ed integrità una volta che per il tempo ormai trascorso l’interesse a conoscere quanto avvenuto nel passato sia venuto meno. Di fatto, però, l’esigenza di preservare l’immagine di una persona comune crea problemi di attuazione pratica. La domanda oggetto delle decisioni della Suprema Corte è se l’interessato possa pretendere o meno la rimozione totale degli articoli che riguardano il suo passato, oppure la c.d. “anonimizzazione” o “pseudonomizzazione” come forma alternativa, che rendano impossibile la sua identificazione.

Su detta problematica è intervenuta in particolare una recentissima Ordinanza del Supremo Collegio pronunciata in data 23/01/2023 e pubblicata in data 31/01/2023 portante il n. 2893/2023. Tale pronuncia, ponendosi nello stesso solco già tracciato da precedenti decisioni adottate sempre dalla Suprema Corte, ha stabilito che il provvedimento che può essere ottenuto a tutela del menzionato diritto all’oblio proprio dalla persona comune è “la deindicizzazione dell’articolo dal motore di ricerca , al fine di evitare che un accesso agevolato e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa cedere il diritto di quest’ultimo a non vedersi reiteratamente attribuire una biografia telematica, diversa da quella reale, e costituente oggetto di notizie ormai superate.”.

In tal senso, Cassazione Sezione 1 n. 9147 del 19/05/2020 e Sezione 1 n. 15160 del 31/05/2021. La pronuncia n. 2893/2023 ha però affrontato in maniera specifica un altro tema che in verità era stato oggetto anche di altri precedenti pronunciamenti come l’ordinanza della Sez. 1, n. 9147 del 19/05/2020. In buona sostanza, la Cassazione ha riconosciuto dignità costituzionale agli archivi siano essi cartacei o telematici affermando che “l’attività di conservazione della raccolta delle edizioni dei giornali pubblicata risponde ad un pubblico interesse tanto da assumere un duplice rilievo costituzionale in quanto strumentale alla ricerca storica ed espressione del correlato diritto (art. 33 Cost.) e in quanto espressione del diritto di manifestare liberamente il pensiero”.

Per questo motivo gli articoli del passato non possono essere rimossi o comunque alterati attraverso l’anonimizzazione e/o la pseudonomizzazione. La tutela dell’interessato potrà comunque essere raggiunta attraverso la deindicizzazione facendo sì che all’inserimento di un determinato nominativo in un motore di ricerca non venga in via automatica associato l’articolo risalente nel tempo inerente le vicende che hanno visto il coinvolgimento di detto soggetto. Ovviamente ciò non comporta che l’articolo di cui si discute venga eliminato dall’archivio del giornale, sia esso cartaceo oppure online. Si tratta di un fatto storico che fa parte di una determinata edizione e che risulta quindi immodificabile.

Tutt’al più il soggetto interessato, allorquando siano intervenute sentenze di assoluzione o comunque modificative di precedenti condanne, può chiedere all’editore di pubblicare una nota a corredo dell’articolo in parola in modo che chi lo consulta possa avere una conoscenza attuale e reale della situazione. L’obbligo di pubblicare le notizie relative alla modifica dei precedenti provvedimenti non nasce però in via automatica, ma solo a richiesta dell’interessato.