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di Linda Laura Sabbadini*

La Stampa, 19 agosto 2022

Escludere dall’esercizio dei diritti metà del genere femminile significa avere una democrazia a metà. Il tempo passa inesorabile. Dobbiamo aprire gli occhi. Siamo indietro, tanto indietro sulle disuguaglianze di genere, molto più della gran parte dei Paesi democratici.

Eppure, abbiamo una delle costituzioni più attente ai diritti delle persone, rimasta però inattuata nel suo art. 3. La situazione è molto grave. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza democratica. Metà delle donne del nostro Paese sono escluse dal lavoro. Quindi, non hanno autonomia economica. Siamo 14 punti sotto la media europea del tasso di occupazione femminile, 23 sotto la Germania, 15 sotto la Francia, penultimi prima della Grecia.

Abbiamo un milione di donne che pur cercando lavoro non riescono a trovarlo e 8 milioni che neanche lo cercano. Quanto a occupazione femminile delle giovani da 25 a 29 anni siamo ultimi. Il divario con l’Europa è in questo caso ancora più alto, arriviamo a più di 17 punti percentuali. E così per le 30-34enni. Con questi numeri non andiamo da nessuna parte. Non c’è presente, non c’è futuro.

E dobbiamo renderci conto una volta per tutte che questo è un problema che non riguarda solo le donne, ma tutto il Paese. È un nodo cruciale che, se risolto, permette di risolverne tanti altri.

Ma non finisce qui. Siamo il Paese con il minor tasso di occupazione femminile delle 25-34 enni, ma con maggiore livello di precarietà. Un terzo delle dipendenti di queste età è a tempo determinato contro il 20% dell’Europa. Più di noi la Spagna che perlomeno ha un tasso di occupazione più alto di 14 punti. Senza considerare l’alta percentuale tra le lavoratrici di tutte le età di part time involontario, doppio rispetto all’Europa, e di basse paghe.

E non parliamo della penalizzazione per le donne della presenza di figli, totalmente assente per gli uomini. Una donna su cinque lascia il lavoro alla nascita del figlio, e il tasso di occupazione delle donne con figli piccoli è molto più basso di quelle senza figli.

In Italia solo il 30% delle lavoratrici lavorano nella PA, nella Sanità, assistenza o nel settore dell’istruzione. In Europa il 38%, in Francia il 45% e in Germania il 40%. Siamo sottodimensionati in questi settori. E questo penalizza doppiamente le donne.

Ma non basta. Un terzo delle giovani da 30 a 34 anni hanno la laurea contro il 20% degli uomini. Stanno più avanti. Ma sono anche tanto più indietro delle europee, che si collocano al 47%, 14 punti sopra, con la Francia al 54%, venti punti di differenza. E qui il problema non è solo garantire l’accesso delle donne alle materie scientifiche. Magari fosse solo questo! Ma far sì che si iscrivano all’università.

Che dire? Sono cifre sconfortanti. E non le ho neanche snocciolate tutte. Numeri da emergenza democratica. Per il Paese, non solo per le donne. Sì, perché una democrazia non può escludere dall’esercizio dei diritti metà del genere femminile. Diventa una democrazia a metà.

Come crescerà il benessere e la produttività se la metà del cielo rimarrà esclusa o farà solo piccoli passi in avanti? Come combattiamo la violenza in famiglia se le donne non sono autonome economicamente? Come possono le donne avere i figli che desiderano se il sovraccarico di lavoro familiare non viene redistribuito nella coppia e nella società? E poi parliamo di emergenza demografica.

Siamo coscienti veramente di tutto ciò? Metteremo in agenda questa priorità davvero? Investiremo veramente sulle donne? Siamo convinti che le “strategie” sono il nulla, se non si prevedono ingenti investimenti per attuarle? Me lo auguro. Per la nostra democrazia. Per il Paese.