sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Francesca Re e Marco Perduca*

Il Dubbio, 8 marzo 2022

Invitiamo la Corte costituzionale a pubblicare le videoregistrazioni dell’udienza e della Camera di consiglio per arricchire il dibattito pubblico e la ricerca della verità.

Caro Direttore, la conoscibilità del processo decisionale delle istituzioni è uno dei pilastri della democrazia liberale ma, specie quando si affrontano temi oggetto di decisioni nel rispetto della Costituzione e relativi alla partecipazione diretta della cittadinanza alla vita istituzionale del paese, occorre selezionare parole ed esempi come se si scrivesse una sentenza. La divulgazione di decisioni cruciali per la vita di milioni di persone impone la completezza informativa. Per questo vorremmo rispondere a quanto scritto il 4 marzo da Donatella Stasio in merito alle affermazioni del Presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato.

Relativamente al quesito sull’articolo 579 del codice penale, Stasio introduce un tema pseudo- giuridico: il discrimine fra deficienza psichica per abuso di sostanze alcoliche e “l’avere un po’ bevuto”. Nella conferenza stampa Amato aveva fatto l’esempio del “ragazzo maggiorenne che per una ragione qualunque arriva a decidere che la vuole fare finita e che trova un altro ragazzo, come lui, che in una sera in cui hanno un po’ bevuto glielo fa [commette l’omicidio]”. Questo esempio fa intendere che la causa della condotta è data, oltre che da imprecisati motivi della vittima, proprio dalla condizione concorrente dell’aver entrambi “un po’ bevuto”. Secondo Amato, evento non punibile a seguito dell’eventuale abrogazione referendaria. Ma in piena vigenza dell’articolo 579 c.p. ogni condotta corrispondente al “ragazzo che ha un po’ bevuto” determina l’applicazione dell’omicidio doloso ai sensi del terzo comma dello stesso articolo per consenso viziato, parte non toccata dal quesito. La giurisprudenza di legittimità ha sempre applicato l’elemento del consenso in modo ferreo ed estensivo fino a stabilire recentemente che a renderlo invalido non serve neanche l’aver un po’ bevuto ma “è sufficiente anche una non totale diminuzione della capacità psichica che renda, sia pure momentaneamente, il soggetto non pienamente consapevole delle conseguenze del suo atto”.

Il Presidente Amato, dopo aver ricordato i rinvii interni della struttura della legge sugli stupefacenti, ha affermato che sarebbero scomparse “tra le attività punite, la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3. E le sostanze stupefacenti delle tabelle 1 e 3 non includono neppure la cannabis”. La sentenza conferma (sic) che si coltivano piante e non sostanze e, dopo aver dedicato cinque delle 19 pagine alla ricostruzione della normativa sulle droghe, concede che la cannabis sarebbe stata “indirettamente” interessata dal ritaglio. Amato poi afferma che tale cancellazione sarebbe stata “sufficiente a farci violare obblighi internazionali plurimi che sono un limite indiscutibile dei referendum”.

La Costituzione chiarisce che non sono referendabili leggi di attuazione alla ratifica di trattati internazionali, e non leggi adottate per regolamentare quanto sotto controllo internazionale. Ma se anche così fosse stato, negli ultimi anni Uruguay, Canada, Malta e 19 Stati Usa hanno modificato le proprie leggi sulla cannabis senza uscire dalle Convenzioni né essere sanzionate per le loro riforme.

Infine per Amato i ritagli non sarebbero stati in linea con “lo scopo perseguito perché il quesito non tocca altre disposizioni che rimangono in piedi e che a prevedono la rilevanza penale di queste stesse condotte”. Amato non menziona condotte non toccate e raffinazione, estrazione, ecc. di sostanze - le famigerate “droghe pesanti” - che, rimanendo, non avrebbero intaccato gli obblighi internazionali.

Alle parole di Amato si aggiungono le considerazioni di Stasio per cui “non v’è dubbio che tutto questo è ben chiaro a chi ha seguito la conferenza stampa e letto le sentenze”. La “falsificazione” - che dal punto di vista fattuale comunque persiste - sta nell’aver sfruttato la visibilità della “innovazione” della conferenza stampa per dispensare giudizi di merito che non appartengono al ruolo della Corte costituzionale in quel passaggio istituzionale.

Stasio ritiene che “la comunicazione della Corte è un servizio ai cittadini proprio perché possano esercitare a 360 gradi la loro critica, ma su fatti veri e un contributo importante alla qualità del dibattito pubblico, da cui dipende, peraltro, la qualità della democrazia”: benissimo! Invitiamo da subito la Consulta a pubblicare le memorie dei comitati promotori e le videoregistrazioni dell’udienza oltre che della Camera di consiglio per adempiere al nobile intento di arricchire il dibattito pubblico e la ricerca della verità, ancorché senza la “v” maiuscola.

*Associazione Luca Coscioni