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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 30 settembre 2023

Lucia Borsellino, davanti alla Commissione parlamentare antimafia chiede di fare luce sui giorni prima della morte del magistrato che perse la vita in Via D’Amelio. “Vedremo se questa morte, se questo sacrificio, era evitabile”. Ha esordito così Lucia Borsellino, primogenita del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, in audizione giovedì scorso davanti alla Commissione parlamentare antimafia.

Lucia è stata sentita assieme al marito e legale della famiglia Borsellino, l’avvocato Fabio Trizzino, per fare chiarezza sui tanti punti oscuri che ancora oggi impediscono di conoscere cosa effettivamente accadde in quell’estate del 1992. “Chiediamo che le componenti statuali a vario titolo e livello possano fare piena luce e senza condizionamenti su quelli che sono stati i dettagli della vita di mio padre, soprattutto negli ultimi 57 giorni tra le due stragi, anche grazie alle testimonianze dirette”, ha proseguito Lucia. “Fin da subito ci siamo resi conto che il corso delle indagini sulla strage nella quale mio padre perse la vita avrebbe creato dei depistaggi e questo ci ha portato a impegnarci direttamente, non solo partecipando ai processi ma anche portando istanze che abbiamo inviato in sedi pubbliche e istituzionali anche e soprattutto per il tramite della voce di mia sorella Fiammetta”, ha aggiunto. Non si può non rammentare il ruolo del falso pentito Vincenzo Scarantino, ideatore del più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana che iniziò con il ritrovamento dei resti della Fiat 126 carica di tritolo che uccise alle 16.58 della domenica 19 luglio 1992 Borsellino assieme agli agenti della sua scorta. Recentemente la Corte di Cassazione ha messo una pietra tombale sul processo Trattativa Stato Mafia, assolvendo il generale dei carabinieri Mario Mori e alcuni ufficiali del Ros che con Giovanni Falcone avviarono nel 1989 l’indagine del dossier mafia appalti, poi ripreso proprio da Borsellino in quei 57 giorni in cui il magistrato disse ad Antonio Di Pietro, in occasione del funerale del collega e amico d’infanzia, “dobbiamo sbrigarci”. Di Pietro, allora pubblico ministero a Milano, era impegnato in Tangentopoli. Fu Mori che dopo la sua assoluzione definitiva nel maggio scorso a sollecitare la politica a creare una Commissione di inchiesta sul dossier mafia appalti “per andare a fondo, perché, se come ha detto la sentenza del Borsellino Quater, l’inchiesta mafia appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e per i vivi che si trovi la verità.” Del resto fu Mori colui a cui Falcone aveva conferito la delega per avviare tale indagine con l’obiettivo di accertare la sussistenza, entità e modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nella provincia di Palermo, mettendo per la prima volta l’attenzione sugli interessi economici di Cosa nostra. “L’interessamento al dossier mafia appalti” per Trizzino “è la pista investigativa più meritevole di attenzione, in quanto plausibile causa di accelerazione nell’esecuzione della strage di via D’Amelio”. Scrivono i giudici sempre nella sentenza del Borsellino Quater che il magistrato “aveva mostrato particolare attenzione alle inchieste riguardanti il coinvolgimento di Cosa Nostra nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale”. “Borsellino io me lo immagino qui dietro di me, come era in quella foto, in cui si trova da solo nei corridoi del Palazzo di Giustizia a Palermo, che era diventato un luogo in cui non si trovava più a suo agio, al punto che lo ebbe a definire un nido di vipere”, ha aggiunto Trizzino, anticipando una ricostruzione che sarà fatta con il richiamo a dichiarazioni qualificate e sostenuta da documenti. “C’è un problema di strategia comunicativa”, ha continuato, riferendosi alla frase di Borsellino alla moglie Agnese Piraino: “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. “Ebbene in questa frase è sempre stato omesso il seguito “ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri”, ha puntualizzato l’avvocato della famiglia Borsellino. “Dobbiamo andare a cercare dentro la Procura di Palermo, quella che Borsellino chiamò “il nido di vipere”, per sapere se allora ci fossero in atto condotte che favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione e indicazione come target e obiettivo di Borsellino e che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre preceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”, ha quindi concluso Trizzino. “Le parole pronunciate da Lucia Borsellino e dall’avvocato Trizzino sono state così sconvolgenti e di tale importanza da meritare un approfondimento immediato. In particolare, il riferimento alle denunce presentate dalla stessa famiglia in merito alle affermazioni del giudice sul `nido di vipere’ che popolava la Procura di Palermo nel 1992”, ha affermato al termine dell’audizione la senatrice di Italia viva Raffaella Paita, componente della Commissione antimafia. “Credo che dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto, con sofferenza e amore. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. Vorrei che di questa Commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare”. Così invece la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo. La audizione del legale della famiglia Fabio Trizzino continuerà lunedì prossimo.