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di Serena Uccello

Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 2024

La crescita vertiginosa dell’esecuzione penale esterna disegna un sistema che si va ampliando, non più circoscritto al mondo delle carceri. Lavoriamo per mantenere standard di qualità alti nello stilare e realizzare i progetti educativi e nei controlli sul loro andamento”. A dirlo è Domenico Arena, direttore generale per l’esecuzione penale esterna e la messa alla prova all’interno del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia.

Perché l’esecuzione fuori dal carcere è aumentata tanto?

Si tratta di una tendenza europea, non solo italiana. L’esecuzione esterna è ritenuta il mondo del futuro, ma non può diventare l’unica risposta ai reati: è complementare alla detenzione. Di certo offre una reazione più flessibile ai diversi crimini, mettendo sempre al primo posto la sicurezza sociale. Si punta alla rieducazione e al recupero per rendere la giustizia penale un servizio per la comunità e dare una risposta complessiva alla devianza. Ciò detto, in questi anni è proprio aumentata l’area del penalmente rilevante, visto che in parallelo non sono diminuiti i detenuti.

L’esecuzione esterna potrebbe salire ancora?

Sì. Oggi nei penitenziari molti reclusi scontano pene residue contenute, compatibili con i limiti per l’esecuzione esterna. Ma non tutti possono passare all’esterno perché occorre poter contare su delle risorse: dalla casa al lavoro, dalle relazioni familiari alla salute. Pesa molto la disponibilità, non uguale ovunque, degli enti pubblici e del Terzo settore con cui lavoriamo.

Come state intervenendo?

Durante la pandemia è stato varato un progetto che ha portato alcuni detenuti, soprattutto nel Nord, fuori dal carcere in strutture residenziali protette. Miriamo ad ampliare e rendere strutturale questo sistema di residenzialità temporanea, per accompagnare verso l’esterno chi è a fine pena ma non ha una casa. Cerchiamo di offrire un ponte anche verso il lavoro, favorendo il contatto con gli enti che fanno politiche in questo ambito. Siamo poi al lavoro sul fronte del personale. Ora facciamo affidamento su un migliaio di funzionari tecnici, tra assistenti sociali ed educatori, e circa 30o poliziotti penitenziari, che fronteggiano una mole di lavoro soverchiante. Contiamo di riuscire a raddoppiare le risorse entro l’anno grazie all’incremento delle piante organiche. E stiamo creando gruppi di lavoro specializzati. Il ministero sta anche sviluppando un modello per valutare il rischio di recidiva. Si tratta di sistemi già in uso all’estero, fondamentali per rendere le azioni più efficaci.