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di Gianni Santucci

Corriere della Sera, 20 marzo 2024

Oggi, a 22 anni dalla fondazione della Casa della carità, l’intervista al presidente onorario don Colmegna: “A Milano emerga nuova passione”. È una storia che inizia con un dialogo. Risale a più di vent’anni fa. Don Virginio Colmegna dice al cardinale Carlo Maria Martini: “Ormai si scambia la carità per elemosina”. La risposta dell’arcivescovo: “La carità deve abbracciare la giustizia”.

E oggi, a 22 anni dalla fondazione della Casa della carità, cosa significa quella parola?

“La nostra società, in parte, l’ha fatta diventare marketing, la fa passare dal fund raising - riflette don Colmegna, che oggi della Casa è presidente onorario. E invece, come diceva Martini, la carità può essere un gesto piccolo, ma deve portare giustizia. O come sosteneva don Milani: “La carità senza giustizia è una truffa”. È una parola da ripulire e da riempire. Perché significa e porta appartenenza. È il “noi”, opposto all’”io” che provoca lacerazioni. Rendiamoci conto: oggi si danno soldi per il “bonus psicologo”. Vuol dire che serve una grande riflessione sulla carità”. È nella Casa che questa riflessione è iniziata, lunedì sera, proprio con un intervento di don Colmegna, in dialogo con il direttore editoriale della casa editrice Castelvecchi, Pietro D’Amore (che a breve pubblicherà “La storia di ognuno”, libro di voci narrate da Niccolò Nisivoccia). La riflessione scorre in un ciclo di dibattiti che si intitola: “Per carità. L’incontro con l’altro come atto politico”. “Riflettiamo sulla sostanza della parola, in un’accezione più ampia possibile, per ridare significato alla carità e alla politica, che sono intimamente connesse nel legame tra valore e azione”, spiega Simona Sambati, responsabile settore cultura della Casa della carità.

Don Colmegna, “come sta” oggi la carità a Milano?

“La carità è sapienza e impegno, non una pacca sulla spalla. È una dimensione di cultura, una dimensione etica e morale, tanto più decisiva in tempo di intelligenza artificiale. È un momento storico di troppa osservazione e poco investimento. È urgente invece tirar fuori l’utopia, la passione, la voglia di impegnarsi, la politica che affronti il cambiamento e che progetti. Bisogna riempirla di nuovo, la parola carità. Soprattutto coi giovani, per sottrarli alla deriva sociale della lamentela e della tristezza, per rompere le solitudini”.

La capitale dell’economia avrebbe un dovere in più?

“Bisognerebbe creare le condizioni perché i professionisti della cura scelgano di impegnarsi, di intervenire sul disagio profondo e sull’educazione. Per richiamarli, c’è bisogno di offrire una solidità anche economica. La gratuità del volontariato anticipa, ma poi deve subentrare altro, ad esempio psichiatri e professionisti per contrastare il dramma della droga, che ormai arriva a casa per posta. La città ha dentro germi da ripulire, e insieme forze da far attecchire. È una città vecchia per età media, ma la Bibbia dice che vecchi e bambini danzeranno insieme, la speranza non ha età e bisogna farla fiorire. Serve un sostegno economico per una società che progetta, cerca, inventa altre strade. La passione deve emergere e non essere costretta spesso a confrontarsi con troppo protocollo e troppa burocrazia”.