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di Laura Marzi

Il Manifesto, 16 febbraio 2024

Donne “cattive”. Cinquant’anni di vita italiana, di Liliana Madeo (Miraggi Edizioni, pp. 224, euro 20) è una raccolta di storie di donne che hanno infranto la legge, o diventando delle vere e proprie criminali oppure, nella maggior parte dei casi, contravvenendo alle norme sociali imposte. L’idea è particolarmente interessante considerato che ci compete più che il ruolo da carnefice quello delle vittime, anche per ragioni inoppugnabili: le donne continuano a essere uccise per il solo fatto di essere delle donne e, d’altra parte, delinquono molto poco. Solo il 4,2 per cento dei detenuti nelle carceri italiane appartiene al genere femminile (rapportoantigone.it), forse anche per questo dato incontrovertibile, tra le storie raccontate da Liliana Madeo solo tre sono ascrivibili a racconti di crimini.

Apre la raccolta la storia di Pina Somaschini che uccise nel 1946 la moglie del suo amante e i suoi tre figli, anche il piccolo Antonio di soli otto mesi. Si tratta di una vicenda brutale che Madeo riesce con maestria a situare in un periodo storico, quello degli anni seguenti alla seconda guerra mondiale, di cui si sa poco. Non è ancora il momento della ricostruzione, bensì quello in cui le case sono per la maggior parte distrutte e le persone non hanno dove stare, i prezzi sono altissimi e i salari più bassi del periodo antecedente al conflitto. Il furore, la rabbia e la disperazione non si sono ancora dissolti nella nuova abbondanza degli anni ‘50. È in questo contesto così complesso che Somaschini, da sola o con un complice che comunque rimane sconosciuto, compie la strage della famiglia siciliana da poco approdata a Milano da Catania.

Colpisce anche la storia di Doretta Graneris che a metà degli anni ‘70, a soli diciott’anni, con due complici, uccide la sua intera famiglia: madre, padre, nonni e il fratellino. L’obbiettivo è quello di accaparrarsi i loro risparmi e vivere una vita di ozio e agio con il futuro marito e forse l’attuale amante, nonché anch’egli artefice della strage. Emergono l’efferatezza e l’ingenuità di credere di poter restare impuniti, la goffaggine nell’organizzazione del crimine e la grettezza del movente. Altre vicende, quella di Pupetta Maresca e di Franca Viola per esempio, sono più conosciute. Fanno ancora scalpore invece, seppur siano state alla ribalta della cronaca in quegli anni, le storie della Dama Bianca, Giulia Occhini, e della marchesa Casati Stampa, ovvero Anna Fallarino, uccisa dal marito insieme al giovane amante, per essersi innamorata e non aver ceduto ai desideri erotici del marchese che si eccitava a vederla fare sesso con altri, a patto che lei non provasse nessun sentimento.

Le storie sono situate all’interno di un’analisi storica e sociologica della seconda metà del ‘900 meticolosa ma tutt’altro che pedante. In varie vicende emerge, poi, la resistenza della Chiesa ad accettare nuove norme a favore delle donne, della loro libertà e autodeterminazione. A tal proposito, è interessante il capitolo “Le scomode figlie di Eva” dedicato all’esperienza della teologa Adriana Valerio che spesso ricordava come: “per la coscienza cristiana è inammissibile l’ingiustizia, non il marxismo”.