di Ilario Lombardo
La Stampa, 4 febbraio 2023
La premier potrebbe convocare il grande accusato o scegliere di revocargli le deleghe. Sul caso anche l’attenzione del Colle. La risposta in differita, a questo punto, dovrebbe arrivare oggi. E si intuisce che per l’occasione Giorgia Meloni potrebbe tirar fuori la sua agendina e dire in video cosa pensa del caso Delmastro-Donzelli.
Se sceglierà il format settimanale “Gli appunti di Giorgia”, la premier dirà quello che non ha detto ieri quando La Stampa gli ha chiesto tre cose: se condivide la frase del suo sottosegretario alla Giustizia sul Pd che “si inchina alla mafia”, se ritiene istituzionalmente opportuno che sempre Delmastro, il duro di Fratelli d’Italia inviato a Via Arenula, abbia divulgato documenti sensibili su cui indaga la procura di Roma; infine: se stia pensando di chiedere un passo indietro al suo fedelissimo.
Ha detto che risponderà, e c’è da credere che lo farà. Ma quale strada sceglierà? Le ipotesi, al momento, sono diverse e vanno contestualizzate nella cornice di una vicenda che sta provocando forti imbarazzi alla presidente del Consiglio. Anche solo il fatto di essere inseguita fino a Berlino dalle polemiche, costretta a deviare rispetto ai dossier internazionali che preoccupano il governo, mentre è accanto al cancelliere Olaf Scholz, l’ha convinta che va dato un segnale, che una sua iniziativa personale non è più rinviabile.
È quello che in qualche modo si attendono anche al Quirinale. Il presidente della Repubblica non ha detto nulla, né sembra intenzionato a intervenire, almeno fino a quando i magistrati romani non si esprimeranno. I rapporti con Meloni, ripetono, sono buoni e vanno mantenuti così. Poi - è il ragionamento che fanno al Colle - è anche il suo ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura a imporre questa cautela. Nelle triangolazioni con il Parlamento però trapela comunque un’attenzione del capo dello Stato verso il cortocircuito istituzionale e la feroce frattura politica che ha generato con l’opposizione. I toni sono arrivati a un punto insostenibile, per le regole della normale dialettica democratica. Cosa che pensano anche molti ministri e alleati di coalizione.
Ed è quello che in qualche modo ha lasciato intendere Meloni ieri, da Berlino. Bisogna sanare questa ferita, ricucire i rapporti, e farlo subito. La premier sta meditando come uscirne. Delmastro e Donzelli rappresentano il dna del melonismo, sono i volti della rivalsa a destra e in qualche modo con il loro comportamento hanno coinvolto direttamente la leader. Lei lo sa, nonostante in cuor suo si dica che in tanti anni di lotta politica “si è arrivati altre volte a questi livelli di scontro”. Ma l’orgoglio storico che rende i fratelli di partito una testuggine, una famiglia che si difende sempre dagli attacchi esterni, questa volta potrebbe danneggiare la reputazione dell’esecutivo. È quello che sta cercando di capire Meloni: fino a che punto può essere trascinata in giù, con i suoi colonnelli.
La premier sperava di chiuderla con l’inchiesta interna ordinata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, una ricognizione velocissima per chiarire se i documenti che Delmastro aveva passato a Donzelli fossero coperti da segreto o classificati. Non è stato così. E ora dentro FdI in tanti ricordano cosa successe con Carlo Fidanza, l’europarlamentare che si autosospese dal partito perché coinvolto nell’inchiesta sui finanziamenti della cosiddetta lobby nera. Fu Meloni a chiederglielo. E non è escluso che ora possa fare qualcosa del genere con Delmastro. Potrebbe semplicemente convocarlo a Palazzo Chigi, e mostrare a favore di telecamere di averlo strigliato. Oppure ritirargli le deleghe da sottosegretario, o ancora: arrivare a chiedere la sua sospensione in attesa delle conclusioni dell’inchiesta, per dare la dimostrazione plastica che non c’è amore di partito che tenga. Tra i ministri che le sono più vicino, nessuno crede, però, che arriverà a chiedere le sue dimissioni. Ma è comunque un’opzione, se il governo si dovesse trovare nudo, più di quanto lo sia oggi.