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di Simona Musco e Giovanni Maria Jacobazzi

Il Dubbio, 6 agosto 2023

Nell’assurda storia della presunta “centrale di dossieraggio” scovata dai magistrati all’interno degli uffici della Direzione nazionale antimafia sono diverse le domande da porsi. La prima: possibile che un finanziere - di cui non faremo il nome, pure reso noto, in virtù della presunzione di innocenza - potesse, da solo, “collezionare” dati sensibili e informazioni finanziarie di centinaia di persone senza che qualcuno lo indirizzasse? E che fine hanno fatto le informazioni, ben più numerose di quelle finite sui giornali, che invece sono rimaste in un cassetto?

Domande alle quali oggi si aggiunge quella fatta dallo stesso ministro Guido Crosetto, che con la sua denuncia, dopo la pubblicazione dei suoi rapporti economici con Leonardo, ha dato l’input alle indagini: a chi serviva far uscire la notizia di questa indagine, avviata ad aprile scorso, proprio adesso? “Si tratta di notizie relative ad un’inchiesta in corso - ha scritto in una lettera al Corriere - e trovo molto grave vederle pubblicate sui giornali”. Gravità doppia, in questo caso, perché quei presunti dossieraggi avrebbero potuto mettere in difficoltà la nascita del governo Meloni ed è questa, secondo il ministro, la ragione di quella raccolta dati smisurata.

“Non è che qualcuno vuole alzare polveroni per nascondere la verità? Chi sta cercando di precostituirsi delle difese?”, si chiede Crosetto. Che lascia dunque sorgere il dubbio che il finanziere finito sulla graticola sia forse il capro espiatorio di un sistema ben più ampio, manovrato lontano da via Giulia. Stesso sospetto sorto quando finì su tutti i giornali la presunta talpa della procura di Perugia, vivisezionata per giorni come mente unica di una fuga di notizie studiata nel dettaglio. Crosetto ha dunque voluto fornire un nuovo input alle indagini, depositando una nuova denuncia, questa volta per violazione del segreto istruttorio, con lo scopo di “ottenere la verità su di una vicenda inquietante”, ma anche “a tutela dell’indagato stesso”, che finora non ha potuto difendersi dalle accuse sparate sui giornali. Gli stessi che, per anni, hanno goduto dell’aiuto di gole profonde nelle procure e tra le forze dell’ordine.

Ieri La Verità ha ricostruito i contorni della vicenda, spulciando nell’interrogatorio del finanziere finito sotto indagine, un militare del Nucleo di polizia valutaria di Roma, distaccato al servizio Segnalazione operazioni sospetti: i controlli sul ministro sarebbero scaturiti da accertamenti anti-riciclaggio su due fratelli, considerati vicini a esponenti della ‘ndrangheta, con i quali Crosetto condivide le quote in tre diverse società che offrono servizi di bed and breakfast. Fino alla riorganizzazione voluta da Melillo, il finanziere aveva la possibilità di accedere alle banche dati senza procedure formali che certificassero le ragioni della ricerca. E fino a pochi mesi fa non era necessario richiedere nulla osta per pescare dati tra le segnalazioni di operazioni sospette, operazioni anomale che banche e operatori finanziari sono obbligati a comunicare all’Unità di informazione finanziaria (Uif) di Banca d’Italia e che vengono trasmesse per legge sia alla Dna sia al Nucleo valutario della Guardia di Finanza. Unica regola quella di cercare informazioni su temi relativi all’attività della Dna, dunque sulla criminalità organizzata e sul terrorismo. Da qui la strada che, attraverso i due fratelli sospettati di fare affari con i clan, ha portato a Crosetto. Un modus operandi che non era nuovo, stando alla sua difesa: anche nel periodo della pandemia, quando analizzava i dati sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività connesse, ha fatto migliaia di accessi per ricostruire una possibile rete illecita che faceva affari con i dispositivi anti covid. Un esempio tra tanti per smentire qualsiasi intento di dossieraggio, oggi reso più difficile dalla riorganizzazione voluta dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, che già prima dell’avvio delle indagini ha cambiato le regole dell’ufficio, gestito ora da un pool di tre magistrati. E tutte le procedure, adesso, devono essere tracciate, con una richiesta motivata (e scritta) a monte.

La Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, non avrebbe un numero preciso né le categorie che sarebbero state oggetto del presunto dossieraggio, compiuto, secondo l’accusa, attraverso l’accesso non motivato a banche dati pubbliche. Da chiarire se i dati sensibili acquisiti, illegalmente secondo l’accusa, siano stati comunicati al di fuori dell’attività istituzionale e, eventualmente, con quale finalità. Il militare, sentito dai magistrati, avrebbe rivendicato la correttezza del suo operato, tirando in ballo l’ex procuratore di Bari, Antonio Laudati, all’epoca alla guida della sezione della Dna presso cui il finanziere prestava servizio. Secondo quanto dichiarato dal finanziere, infatti, a monte di quelle ricerche ci sarebbero state richieste mai formalizzate, ma ufficiali. Nonostante ciò, però, tali accessi non si sono mai tradotti in informative. Le Sos, va ricordato, sono poi atti riservati ma non segreti, a differenza ad esempio degli atti relativi a procedimenti penali nella fase delle indagini preliminari. Sarà anche difficile, dunque, un processo per una “non violazione” del segreto.

L’allarme sui dossieraggi, intanto, ha tenuto banco anche nell’ultima giornata dei deputati alla Camera, dove il timore è quello che possa esplodere un conflitto tra le istituzioni e che ci sia una regia ad hoc per determinare la politica italiana e sovvertire in futuro gli equilibri in campo. “È un problema serio”, osserva all’Agi il capogruppo di Fdi Tommaso Foti. “Sicuramente questo caso è il segnale di una democrazia in disordine”, dice anche il vicepresidente di Montecitorio Fabio Rampelli.

“La vicenda è una questione di sicurezza nazionale”, ha affermato dall’opposizione il capogruppo di Iv al Senato Enrico Borghi, membro del Copasir, che ora vuole vederci chiaro. Sulla stessa lunghezza d’onda Matteo Renzi: “Ci sono - ha rimarcato l’ex premier - strani intrecci tra mondi diversi: qualche redazione, qualche investigatore, qualche magistrato, qualche pezzo delle istituzioni pubbliche hanno lavorato insieme alla costruzione di dossier e soprattutto alla distruzione dell’immagine di qualche politico”.