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di Tiziana Maiolo

Il Riformista, 2 novembre 2022

Dalle carceri alle depenalizzazioni, il nuovo Guardasigilli rappresentava per i garantisti un sogno realizzato. Ma in poche ore il governo ha abbracciato le grida di Travaglio sul 4bis e i peggiori tic forcaioli. Il governo ha fatto proprio un testo già approvato dalla precedente legislatura alla Camera dei deputati. Ma è una norma astuta e compilata con il trucco. Che pone mille ostacoli al detenuto, al solo fine di farlo marcire in galera

Gentile dottor Carlo Nordio, Lei è il ministro di Giustizia che tutti aspettavamo, che tutti sognavamo. Tutti chi? I tanti che credono nello Stato di diritto, nella società liberale e nelle garanzie per tutti i cittadini. Potrà sembrarle strano che questo tipo di comunità possa aver scelto come proprio rappresentante un pubblico ministero, cioè uno portato culturalmente e istituzionalmente ad accusare più che a difendere (lasciamo perdere l’ipocrisia di dover raccogliere anche le prove a favore dell’indagato), ad agitare le manette più che pensare alle misure alternative al carcere o a una società in cui la giustizia riparativa renda addirittura inutile l’esistenza stessa delle prigioni. La scelta non è casuale. Diversamente avrebbe qualche ragione un qualunque Marco Travaglio, che le ha dedicato un titolo che la definiva come “l’evoluzione di Mancuso, Biondi e B.(erlusconi)”. Stiamo parlando di un giudice, un avvocato e un imprenditore di sicura tempra garantistica, due dei quali, che purtroppo non ci sono più, sono stati ottimi ministri di Giustizia, ambedue vittime del furore giacobino della sinistra e costretti a fare le valigie e abbandonare gli uffici di via Arenula dopo pochi mesi di onorato servizio. Ma non è per qualche rimpianto o somiglianza, che abbiamo individuato Lei come il Ministro di giustizia che aspettavamo e sognavamo. È invece importante, anche sul piano simbolico, la scelta, forse non del tutto consapevole, di cui vogliamo comunque ringraziare la presidente del Consiglio, di un pubblico ministero che è stato inquirente senza mai farsi inquisitore. Di una persona per bene che, pur negli anni in cui, come gli altri, ha avuto la ribalta, non l’ha mai usata per gettare gogne e discredito sugli altri, su quelli che lui stesso aveva messo in difficoltà con le inchieste e il carcere. Un pubblico ministero che per esempio aveva saputo tenere ben stretti i testi delle intercettazioni nei propri cassetti, dimostrando che si può. Il colabrodo era a Milano, non a Venezia.

Non staremo a ricordare, perché le sue interviste anche recenti sono tante, quale è la sua visione del processo. Che dovrebbe essere rigidamente di tipo accusatorio, sul modello del sistema anglosassone, mentre in Italia la pur pudica riforma del 1989 è stata inquinata da pesanti interventi della Corte Costituzionale. E soprattutto dalla mentalità ancora fortemente inquisitoria di coloro che la nuova procedura avrebbero dovuto applicare, cioè la gran parte dei pubblici ministeri e dei giudici. Lei, insieme a noi di questa piccola comunità liberale, pensa di metter mano a principi costituzionali come l’obbligatorietà dell’azione penale e l’unicità delle carriere dei magistrati. Siamo sicuri che proverà a farlo, e speriamo che riesca a portare a termine questa importante riforma di tipo costituzionale, ben conoscendo i tempi necessariamente non brevi che saranno necessari.

Anche sul codice penale, quello del 1930 di Mussolini, lei ha le idee chiare. Del resto ha anche presieduto una Commissione di revisione, istituita quando presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e ministro guardasigilli Roberto Castelli, e il cui lavoro è finito in qualche cassetto dopo che le vicende politiche del Paese sono andate come sono andate. Ma le idee chiare sulla necessità di sfrondare l’eccesso di norme penali e di ridurre il numero dei reati Lei le ha ripetutamente e giustamente manifestate anche di recente. Infatti non è una sua personale iniziativa, e supponiamo che la abbia semplicemente subita nel primo recente Consiglio dei ministri, quella di introdurre una nuova fattispecie penale dopo il rave party di Modena. Lei sa benissimo, e lo sappiamo persino noi che non siamo giuristi, che anche quando vi fosse un vuoto normativo, un cerottino come un’aggravante può risolvere il problema. Ammesso che, ma sappiamo che non è così, l’inasprimento delle pene serva a far diminuire il numero dei reati. Lei ha lanciato nei giorni scorsi l’iniziativa di un progetto di depenalizzazione. Il che dimostra non solo che ha elaborato un programma di vera politica liberale, ma anche che si prepara a un’attività di grande pragmatismo. Abbiamo colto la sua sensibilità sincera sul dramma delle carceri e di quei 72 suicidi che potevano essere evitati. Con maggiore attenzione all’uso della custodia cautelare, con un piano sanitario e psicologico sull’infermità mentale e la tossicodipendenza, e sulla fragilità soprattutto dei più giovani quando si ritrovano privati della libertà. Sappiamo che intende visitare le prigioni, ottima iniziativa, troverà un mondo che i pubblici ministeri e i giudici in genere non conoscono, ma che è popolato anche di tanti operatori del settore che conducono un lavoro in modo appassionato pur tra mille difficoltà. Molti dei quali pensano, perché lo sanno, che la prigione è nella gran parte dei casi inutile e dannosa e che l’animale in cattività non può che peggiorare.

Se la Presidente del Consiglio avesse mai avuto questa curiosità, magari facendo un giro a Catanzaro o a Poggioreale, forse non avrebbe usato un certo linguaggio quando ha spiegato il perché dei provvedimenti sulla giustizia adottati nel primo Consiglio dei ministri.

Noi speriamo in una sua contaminazione, dottor Nordio. Ma vorremmo fare il punto insieme a Lei, prima di tutto sul rinvio “tecnico” dell’intero pacchetto della riforma Cartabia, su cui forse sarebbe stato sufficiente decidere lo slittamento solo delle parti che rendevano difficoltoso il lavoro delle Procure. Lei ha detto di condividerne i contenuti, la preghiamo quindi di vigilare perché nel cammino da qui al 31 dicembre non venga vanificato il lavoro già svolto. Ma soprattutto vorremmo tornare sul tema spinosissimo dell’ergastolo ostativo. È materia complessa, lo sappiamo. Ma vorremmo insieme a Lei rileggere quel monito della Cedu del 2019 che ha messo in mora l’Italia e la conseguente ordinanza numero 97 del 2021 della Corte Costituzionale che, con un pronunciamento di “incostituzionalità differita”, ha dato un anno di tempo e poi successivi sei mesi al Parlamento per sanare una situazione fuori dalle Se Lei va a rileggere quel testo, ricorderà che la stessa esistenza nel nostro ordinamento della pena dell’ergastolo, in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, ha legittimità solo se non è un “fine pena mai”. L’ordinanza della Consulta è chiarissima sul punto. Spiegava infatti che è solo l’effettiva possibilità di arrivare, dopo aver scontato 26 anni della pena, alla libertà condizionale, a rendere compatibile la pena perpetua con la finalità rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione. E anche che il carattere assoluto con cui la normativa attuale pone la collaborazione (in termini giornalistici il “pentitismo”) come unica strada per accedere alla libertà condizionale e quindi al superamento dell’ergastolo, è fuori dalle regole. Incostituzionale. Perché presuppone che l’ergastolano non “pentito” sia oggettivamente pericoloso, anche se avesse fatto un percorso di ravvedimento e presa di distanza dal passato magari superiore alle astuzie di qualche collaboratore. O se non avesse nulla da dichiarare oppure temesse per l’incolumità dei suoi cari. Del resto la stessa Corte aveva già sviluppato questi ragionamenti quando aveva sbloccato la possibilità per tutti gli ergastolani, pentiti e no, di accedere ai permessi premio.

E veniamo al momento attuale. Ora il governo ha fatto proprio un testo già approvato dalla precedente legislatura alla Camera dei deputati. Ma Lei sa bene che è una norma astuta e compilata con il trucco. Il trucco è quello di fingere di abbattere quel concetto di pericolosità oggettiva e ammettere tutti alla possibilità di chiedere al giudice di sorveglianza (anzi al tribunale, secondo la modifica introdotta) l’accesso alla liberazione condizionale. Ma si introducono una serie di vincoli-capestro che rendono impossibile il percorso. Non li elenchiamo perché Lei li conosce benissimo, e anche i nostri lettori. Questa norma, signor Ministro, lega mani e piedi al detenuto e anche al giudice. Poi pone sulla loro schiena uno zaino del peso di 50 chili. Poi li porta al mare e dice loro di provare a nuotare. Questo tipo di trucchi non è da lei, dottor Nordio. Uno con la sua storia, i suoi sentimenti prima ancora che i suoi pensieri e i suoi studi, non può essersi specchiato ieri, all’indomani della conferenza stampa seguita al primo Consiglio dei ministri, nell’entusiasmo dei travagli e travaglini. La sacrosanta lotta alla mafia non può distruggere in questo modo lo Stato di diritto. Oltre a tutto con il trucco. Le chiediamo solo di continuare a essere il nostro Ministro di giustizia, quello che abbiamo desiderato e sognato.