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di Elena Stancanelli

La Stampa, 1 maggio 2023

Negli ultimi 20 anni le famiglie sono cambiate: “Ora servono centri aggregativi sicuri”. “Stanotte è arrivato un bambino di 10 anni in uno stato di agitazione importante. Soffre di un disturbo del comportamento con aggressività, non era la prima volta che lo vedevamo. Gli abbiamo dovuto somministrare dei farmaci. Io sono al Pronto Soccorso da tanti anni e ancora lo sguardo di questi bambini che arrivano in uno stato di agitazione psichica mi procura un dolore indicibile. Chiedono aiuto, piangono e se non piangono è anche peggio, ci maltrattano o ci vorrebbero maltrattare, si accaniscono contro i genitori e contro chi gli sta vicino. Sono in preda a un’agitazione incontenibile ma non è quello che fanno che fa male, è il loro sguardo. Uno sguardo pieno di sofferenza e vuoto. Come fosse separato dal corpo, da quello che accade. Lo sguardo di qualcuno a cui sta succedendo qualcosa di terribile dentro, qualcosa che non può essere raggiunto e procura a loro un dolore indicibile e indomabile. Noi qui al Pronto Soccorso vediamo tutto, anche bambini che stanno per morire, ma lo sguardo di un bambino prigioniero di una sofferenza psichica è insopportabile, non riesci a farci pace”. Anna Maria Musolino è responsabile, insieme alla dottoressa Mara Pisani, del Pronto Soccorso pediatrico del Bambin Gesù, a Roma. Le chiedo qual è il protocollo in questi casi. “Quando arrivano i ragazzi con problemi comportamentali assegniamo loro un codice di priorità più alto, che consente un accesso più rapido alla visita. Generalmente sono ragazzi e ragazze nella fascia pre-adolescenziale e adolescenziale. Vengono visitati da un pediatra, che poi chiama il neuropsichiatra per la consulenza. Ai pazienti più a rischio, di fare del male ma soprattutto di farsi del male, assegniamo una persona dedicata che sta sempre con loro, non li molla mai”.

“I ragazzi oppositivi”, continua la dottoressa Pisani, “vengono accompagnati nella Consulta numero 1, la più vicina al team infermieristico, dove la finestra è chiusa a chiave e tutto è organizzato per salvaguardare la loro sicurezza. Abbiamo studiato la comunicazione, usiamo un atteggiamento accogliente, teniamo basso il tono della voce, evitiamo la sfida: cerchiamo di metterci in contatto con loro, quando è possibile”. Vengono dunque accolti, messi in condizione di non farsi male e di non poter scappare. Chiedo chi li accompagna qui. “Generalmente i genitori o i care giver in generale, oppure i responsabili delle case famiglia o delle strutture di accoglienza”, spiega la dottoressa Musolino, “per esempio le ragazze (sono quasi tutte femmine) che arrivano con bradicardie gravi a causa del rifiuto dell’alimentazione, arrivano sempre con un genitore. Loro sono quelle che meno di tutti chiedono di essere guardate e tutelate”. “Nel week end invece”, continua la dottoressa Pisani, “arrivano i ragazzi portati dal 118, in abuso di alcool o sostanze. La cosa che mi inquieta di più è che arrivano soli. Gli amici con cui erano fin quando non si sono sentiti male scompaiono. E sono prevalentemente donne. Hanno poca coscienza, spesso vomitano ed è pericoloso, rischiano di soffocare. Non le accompagnano, non si preoccupano di come stanno, le lasciano in mezzo alla strada, sole. Chiamano il 118 e se ne vanno. Quando questi ragazzi e ragazze arrivano qui al Pronto Soccorso noi offriamo un sostegno immediato. Vengono inseriti nella Consulta, lavati se c’è bisogno, reintegrati, ricevono supporti venosi e appena possibile contattiamo le famiglie. In questi casi, in emergenza, noi agiamo senza tutore. Ma per dimetterli, se sono minorenni, ci vogliono i genitori o un tutore legale. Io seguo un ragazzo da molti anni, è un ragazzo bellissimo e molto intelligente che, prima del Covid, ha avuto un abuso di sostanze molto pesante. Era ancora molto giovane e questo gli ha creato dei danni permanenti. Il suo potenziale non sarà mai più espresso, la sua intelligenza verrà coltivata, ma lo stile, la velocità di pensiero che aveva non ce li avrà più. Ha una risonanza cerebrale un po’ inficiata. Purtroppo l’abuso di sostanze nell’età di sviluppo dell’encefalo determina danni irreversibili. Interrompe il percorso dello sviluppo cerebrale, così come l’abuso di alcool. Il nuovo fenomeno che tutti sottostimano” continua la dottoressa Pisani che è specializzata in tossicologia “è quello delle bibite energizzanti. Contengono guaranà, caffeina e taurina in quantità tali da scatenare crisi di tachicardia. Vengono utilizzate dai ragazzi per riequilibrare il down da cannabinoidi e alcool. Prendono queste bibite e poi guidano la macchina e non si rendono conto. Ne bastano poche, un paio al giorno per un tempo prolungato, tipo un mese, e già diventano dannose. Il problema è che non c’è nessun controllo, perché sono legali, vengono vendute al supermercato. Del resto anche l’alcool è facile procurarselo, anche per minorenni”.

Tra i casi che arrivano in Pronto Soccorso ci sono poi i tentativi di suicidio. “Prima erano tipici di un’età raramente inferiore ai 17/18 anni, quindi noi quasi non li vedevamo perché sono fuori da pediatria. Adesso invece capitano anche qui. Questo rifiuto alla vita, l’inedia di questa ragazzini che dicono “io desidero morire”, mi fa soffrire” racconta la dottoressa Pisani. “Mi ha colpito pochi giorni fa una ragazza di 16 anni che aveva assunto un cocktail di farmaci pauroso, una ragazza che non aveva mai dimostrato di avere un disturbo. È stata brava però, perché l’ha detto, ha chiesto aiuto alla madre e noi l’abbiamo salvata. Erano passate 24 ore dall’assunzione ma si trattava di farmaci che non agiscono in acuto. Ha cominciato a essere soporosa, a sentire mal di testa e ha capito, si è spaventata e lo ha detto. I medici hanno rotto questa matassa collosa di farmaci, 30/40 compresse diverse, l’esterno gelatinoso si era sciolto e aveva creato questo gomitolo nello stomaco. È andata in area rossa, le hanno fatto una gastroscopia, le hanno decontaminato tutto quell’ammasso, le hanno fatto il lavaggio renale. È andata bene, ma solo perché è stata lei stessa a dirlo. Queste situazioni mi danno un’enorme preoccupazione, non sappiamo da dove cominciare. I bambini hanno un pediatra di fiducia, di riferimento, ma dopo i 14 anni sono abbandonati a loro stessi”.