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di Antonella Soldo

Il Manifesto, 18 giugno 2023

Qualche settimana fa si sono riversate centinaia di persone al Cinema Troisi di Roma a un evento dal titolo “Cannabis: un serio spettacolo”. Questa volta abbiamo usato uno strumento diverso: la risata. Contro la paura, e contro la cupezza.

Che fine fanno i diritti? A luglio dell’anno scorso a Roma con Meglio Legale abbiamo convocato un’assemblea con tutte le associazioni che nel nostro Paese si occupano di immigrazione, ius soli, detenuti, temi lgbtqi+, ambiente, droghe, ecc. Nessuno di noi aveva ottenuto un passo in avanti sulle proprie istanze nella legislatura che stava per chiudersi: cosa sarebbe accaduto nei mesi a venire, con una vittoria di Giorgia Meloni già stagliata sullo sfondo? Ecco a 8 mesi dall’insediamento del governo più di destra degli ultimi trent’anni, non serve un politologo esperto per registrare che, per i diritti e per chi se ne occupa, obiettivamente non è un momento favorevole. Il clima si è fatto più pesante ed è sempre più complicato trovare sostegno. Quanto al nostro lavoro su cannabis e droghe: dicono che bisogna imparare a cavalcare le onde quando il mare si fa grosso e questo, a quanto pare, è proprio uno di quei casi.

Il primo decreto che questo governo ha emanato è stato il cosiddetto decreto rave, che con il pretesto di affrontare un’”emergenza nazionale” aveva un solo scopo: riportare nell’ambito del penale il semplice consumo di stupefacenti. Da qui sono partite tutta una serie di proposte di legge atte a mostrare che l’aria era cambiata: da quelle di Maurizio Gasparri per vietare la canapa industriale a quella di Augusta Montaruli per aumentare le pene per i fatti di lieve entità. Ma che l’aria fosse cambiata lo si è capito anche dal mutato atteggiamento generale. Come quando le forze dell’ordine si sono presentate a identificare degli studenti in un liceo di Enna solo perché avevano organizzato un’assemblea sulla legalizzazione della cannabis. O ancora, come quando c’è stato un massiccio intervento di polizia, guardia di finanza, carabinieri alla Fiera della canapa di Roma a febbraio scorso.

Poco dopo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha inviato una circolare a tutti i Prefetti d’Italia con l’indicazione di censire e controllare una per una le attività commerciali e agricole del settore della canapa industriale. Ne è partito una sorta di controllo a tappeto con rimando a giugno per valutare quali saranno le iniziative governative in merito.

D’altra parte anche sul tema che apparentemente mette d’accordo tutti, quello della cannabis medica, si registra un fermo della produzione prima affidata allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che dipende dal ministero della Difesa guidato da Guido Crosetto. Con le relazioni istituzionali ridotte all’osso e gli spazi di dibattito pubblico e mediatico sempre più risicati, anche le cose semplici diventano difficili. Perché, si sa, la prudenza non è mai troppa.

E allora un dirigente del comune di Roma vieta le affissioni del 5×1000 perché raffigurano una foglia di canapa (questione poi risolta). Una facoltà di criminologia dà il diniego a un suo studente a fare un tirocinio retribuito presso la nostra associazione perché le tematiche non sarebbero “inerenti al percorso di studi”. A ogni bando pubblico i nostri progetti vengono cassati in favore di qualsiasi altra cosa. Insomma, non è semplice restare positivi.

Perciò in questo clima è sembrato sorprendente pure a noi che in un martedì sera, qualche settimana fa, si sono riversate centinaia di persone al Cinema Troisi a un evento dal titolo “Cannabis: un serio spettacolo”. Questa volta abbiamo usato uno strumento diverso: la risata. Contro la paura, e contro la cupezza. Però fuori dallo spettacolo, il proibizionismo non fa per niente ridere. Non fa ridere che un paziente che ha diritto alla cannabis per curarsi ancora sia costretto al mercato nero. Non fa ridere quando ti trovano un grammo d’erba in tasca mentre sei a piedi, perdi la patente e non puoi più andare a lavoro. Non fa ridere quando ti chiamano spacciatore sul giornale del paese solo perché ti hanno fermato con una canna. Non fa ridere Matteo Salvini che dice che Stefano Cucchi è morto perché drogato. Non fa ridere che per prendere Mattia Messina Denaro ci abbiano messo 30 anni, ogni anno migliaia di agenti coi cani antidroga vengono mandati nei licei a perquisire minorenni. Ecco su tutte queste cose occorrerebbe essere estremamente seri.