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di Barbara Stefanelli

Corriere della Sera, 4 novembre 2023

Per difendere Israele, Macron rilancia il modello anti Isis. E, senza Hamas, torna sul tavolo un’ipotesi che era sparita. Dal 7 ottobre, giorno dell’assalto terrorista di Hamas oltre i confini dello Stato ebraico, siamo stati trascinati da una piena di immagini sconvolgenti che da una parte ci hanno scosso e dall’altra - a un certo punto, presto, forse proprio perché superavano ogni immaginazione - sembrano averci anestetizzati. L’empatia per le vittime, tutte, è scivolata sotto il tappeto di un ring internazionale che si è conquistato le platee televisive e social, le vecchie piazze delle città e quelle dei campus universitari dove si formano le nuove generazioni. Ha scritto Paolo Mieli: “L’atto originario dell’attuale conflitto, gli oltre mille abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è pressoché scomparso dall’universo della comunicazione. Ha dovuto cedere il passo al ‘genocidio’ cui ha alluso il segretario dell’Onu”, Antonio Guterres, riconducendo la responsabilità dei massacri anche “a 56 anni di soffocante occupazione”.

Forse per questo - per questa saturazione degli sguardi verso Gaza, per questo continuo superarsi di grida d’odio - uno dei filmati che sono invece “rimasti” è quello che l’esercito israeliano ha ricavato dall’abitacolo di un’auto e mostrato alla stampa estera. Non c’è audio, si vede la strada che corre, oltre il parabrezza. È mattina, quel 7 ottobre. Il vetro comincia a creparsi dal basso, proprio davanti a chi sta alla guida, non ne scorgeremo mai il volto. Sono visibili invece alcuni uomini armati di mitra, vestiti di nero, ai lati dell’asfalto: sono i loro proiettili ad aver raggiunto il veicolo. Il movimento della macchina al rallentatore, che sbanda e si schianta, restituisce la traiettoria della morte sopraggiunta in silenzio.

Ammutolita e in pezzi, è finita la normalità di una giornata come tante altre, di vite che non erano la nostra ma potrebbero esserlo. È stato Emmanuel Macron a indicare un riflesso argenteo nell’oscurità: in questa tragedia, il “silver lining” potrebbe essere la risposta internazionale. Si tratta, ha detto il presidente francese, “di ispirarci all’esperienza della Coalizione contro lo Stato islamico”: di vedere “quali aspetti siano replicabili contro altre minacce terroristiche in Medio Oriente”. Significa tagliar fuori Hamas da ogni scenario futuro - in quello diplomatico, del resto, mai ha voluto entrare - lasciando il gruppo integralista nell’angolo dei fuorilegge, dei ricercati, che non possono avere voce né interlocutori. Significa nello stesso tempo ridare vigore “al diritto legittimo all’autodeterminazione del popolo palestinese” e “alla sua dignità”, come ha twittato poco dopo lo staff del presidente americano Biden, confidando in una leadership a Ramallah rimotivata dal dolore e nel dolore.

Il percorso dei due Stati, quello ebraico e quello palestinese, sparito dalle strette mappe locali e dalle reti smagliate della diplomazia, torna - i mediatori ne sono convinti - a essere una chance concreta della Storia. L’unica in grado di tracciare una direzione che non punti soltanto a rimuovere le macerie dell’orrore in attesa di altre scosse, ma a chiudere il ciclo della violenza. L’unica che potrebbe custodire la memoria di centinaia, migliaia di bambini caduti in queste settimane. E magari inaugurare un incrocio inedito di accordi, se non di alleanze, votato a trattenere dalla stessa parte quei protagonisti regionali e internazionali che condividono l’interesse essenziale della pace. Di fronte all’asse dei tiranni e dei massacratori.