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di Giorgio Spangher

Il Dubbio, 1 settembre 2023

La riforma Cartabia, che codifica l’indicazione dei “criteri” nel perseguimento dei reati, lascia intuire che tocca al ministro l’iniziativa sul provvedimento-quadro. Chi l’ha visto?. Si è discusso per anni sull’esercizio dell’azione penale da parte del pm e sul cosiddetto principio della sua obbligatorietà. Si è sempre più fatta strada, tra gli operatori di giustizia, la convinzione che sia necessario assicurare il massimo di trasparenza, alla doverosa azione del magistrato inquirente, attraverso la predisposizione di criteri di priorità. Sono state elaborate iniziative parlamentari per dare attuazione in questi termini alla previsione costituzionale di cui all’articolo 112 della Costituzione.

Si tratta di disegni di legge delle scorse legislature ora ripresentati nelle commissioni parlamentari, di cui non sono note le cadenze temporali e le possibilità di successo (da ritenersi scarse). Tuttavia, tentando (forse) di anticipare i tempi anche per dare maggiore concretezza al tema, ma soprattutto in relazione alla più ampia riforma del processo penale targata Cartabia, nella quale la materia trovava una precisa e favorevole collocazione, in connessione con la risistemazione della fase delle indagini preliminari, nel contesto della legge delega n. 134 del 2021 si è previsto, all’art. 1, comma 9, lettera i), che “gli uffici del pm, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento per legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati da indicare nei progetti organizzativi delle Procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili”, e che si debba “allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle Procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti”.

Il riferimento ai “criteri generali indicati dal Parlamento con legge”, che non figurava nello schema di delega presentato da Bonafede alla Camera (nel quale pure era prevista la necessità che gli uffici del pm individuassero criteri di priorità da indicare nei modelli organizzativi), compare invece già nella proposta della Commissione Lattanzi, ove si prevedeva che il Parlamento “determini periodicamente… criteri generali…”.

Le forti riserve della Magistratura nei confronti di questa formulazione hanno condotto il Parlamento a ricalibrare il punto nei termini sopra ricordati, mantenendo il riferimento alla legge del Parlamento che peraltro era oggetto di un negativo giudizio da parte del Csm (delibera del 29 luglio 2021) per il rischio di orientare la funzione giurisdizionale verso il conseguimento di specifici obiettivi di politica criminale.

Alla direttiva, il governo ha dato attuazione con gli articoli 3 e 127 bis disp. att. del codice di procedura penale. Con la prima disposizione si prevede che nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale il pm si conformi ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio.

Con la seconda disposizione si prevede che i criteri di priorità siano osservati dal procuratore generale nei casi di avocazione. Fin dal 21 luglio 2022 è stato riformato l’articolo 6 (di attuazione della delega in tema di ordinamento giudiziario) di cui al d.lgs. n. 104 del 2006 ove si stabilisce che il progetto organizzativo dell’Ufficio della Procura deve indicare “i criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge tenendo conto del numero degli affari da trattare della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili”.

Dall’esposizione dei dati normativi, è fin troppo evidente come manchi un tassello, peraltro, essenziale: la legge del Parlamento, la cui mancanza si riverbera sia sul piano ordinamentale sia, di riflesso, su quello processuale penale. Ora, è vero che il riferimento alla legge del Parlamento pone non pochi interrogativi strutturali e contenutistici, come emerge dalle diverse formulazioni (vedi amplius Nello Rossi). Tuttavia deve ritenersi che, quale che debba essere il suo contenuto cioè l’ambito, la struttura, il suo rapporto e il raccordo con gli altri elementi indicati nella norma, un tema come quello dei criteri di priorità non possa essere consegnato esclusivamente agli Uffici di Procura, e che pur nelle specificità delle situazioni, un elemento generale di sistema - si tratti di cornice o di scelte - sia necessario.

Pur nelle segnalate difficoltà dell’intervento legislativo, alcuni elementi possono esser indicati. Il primo riguarda il soggetto che deve assumere l’iniziativa prospettando anche i criteri generali. Trattandosi di materia ordinamentale sembrerebbe fondato ritenere che il destinatario sia il ministro della Giustizia, che presenterà alle Camere il provvedimento per la sua approvazione. Si è posto al riguardo il problema, per evitare che ci possa essere un forte condizionamento dell’Esecutivo, di quale debba essere la maggioranza con cui la legge dovrà essere approvata. Il dato rileverà in termini maggiori o minori sulla base del modello di contenuto che si vorrà segnare al provvedimento.

Resterebbe da definire il tempo per il quale il provvedimento, integrandosi con gli altri elementi organizzativi, possa avere efficacia. Il dato rileva perché, rispetto alla proposta Lattanzi, manca il riferimento alla periodicità. Ciò nonostante, potrebbe essere ragionevole ritenere che il termine sia quello stesso fissato per il progetto organizzativo delle Procure di cui gli uffici del pm devono tener conto.

Sul piano processuale resterebbero da considerare le ricadute di una mancata osservanza dei criteri di priorità così determinati ai sensi degli articoli 3 e 127 bis cpp operanti per le notizie di reato iscritte successivamente all’entrata in vigore della riforma Cartabia, ma anche quelle ordinamentali, perché il loro rispetto dovrebbe essere attentamente valutato, pena l’assoluta irrilevanza di quanto deciso in ottemperanza a una legge del Parlamento, seppur filtrata dagli uffici del pm.

La necessità dell’intervento del Parlamento è stato sottolineato anche dal Consiglio superiore della magistratura nella risposta a un quesito di un presidente del Tribunale, nella quale si evidenzia che l’organo di autogoverno è in attesa dal 21 luglio 2022 dell’intervento del Parlamento. Ma c’è la sensazione che il tema non venga considerato tra le priorità, con il rischio che se ne perda la memoria.