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di Serena Uccello

Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2024

In crescita i detenuti iscritti a un corso di laurea: oggi 1.707, erano 796 nel 2019 Effetti concreti sulla riduzione della recidiva. M. aveva appena 18 anni quando è stato arrestato, oggi ne ha 27. Deve ancora finire di scontare la sua pena ma in questi anni è riuscito a laurearsi e persino a frequentare un master in Marketing all’università Bocconi. M. ha anche da poco trovato lavoro per una grande azienda milanese. La sua è la storia di come all’interno di un percorso drammatico, come quello della detenzione, lo studio e in questo caso anche il raggiungimento di una formazione alta sono un’opportunità o meglio l’Opportunità per ricominciare. La storia di M. è stata raccontata in un documentario dal titolo Near Light (realizzato da Niccolò Salvato, all’epoca studente della University of Westminster di Londra) che ha ricevuto diversi premi e si prepara a diventare una docuserie. Ma la storia di M. sebbene possa apparire fuori dal comune in realtà è la conferma di come in questi anni l’accesso all’istruzione universitaria dentro il circuito penitenziario sia cresciuta.

A dirlo è l’ultimo monitoraggio effettuato dal Cnupp (Conferenza nazionale dei delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari) che mostra come nel corso dell’anno accademico 2023/2024 il numero complessivo dei detenuti iscritti all’università è stato pari a 1.707 in costante crescita rispetto ai 1.458 dell’2022/23, ai 1.246 dell’anno precedente, ai 1.034 dell’anno prima, fino ai 796 iniziali del 2019. Di questi il 95,8% è rappresentato da uomini e il 4,2% da donne. Gli stranieri rappresentano il 10,4% a fronte dell’11,4% dell’anno precedente. I dati sono stati, fra l’altro, presentati nel corso di un convegno che si è svolto il 16 aprile al Cnel dal titolo “Recidiva zero”, obiettivo dei lavori è stato evidenziare come formazione e lavoro siano gli strumenti per abbassare in modo importante il tasso di recidiva.

Tornando ai numeri, per quanto siano ancora poco incisivi se si considera che il totale della popolazione detenuta in questo momento è di 61.049 detenuti, sono indicativi però di una presenza sempre più strutturata. L’accesso alla formazione universitaria sconta infatti ancora la scarsissima scolarizzazione di base della popolazione detenuta (si veda il pezzo a fianco), tuttavia le condizioni per un intervento sempre più massiccio ci sono, grazie certo ai vari protocolli d’intesa che la Cnupp ha siglato con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e con il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità. Ma merito soprattutto della disponibilità e del coinvolgimento degli atenei. Alla crescita costante degli iscritti corrisponde la progressiva estensione del numero delle università aderenti, che anche nel 2023-2024 sono passate da 37 a 40, grazie alle adesioni di ulteriori tre atenei, cui vanno aggiunti ulteriori quattro atenei in fase di adesione (rispetto ai sei del 2022-2023) per un totale potenziale di 44 università. Quanto alla ripartizione degli iscritti, gli atenei che raccolgono il maggior numero di adesioni da parte di detenuti sono l’Università Statale di Milano con 159 unità (+22), l’Università di Torino con 121 (+27), l’Università di Roma Tre con 101 (+11). Seguono l’Università Bicocca di Milano con 89 (+31), l’Università di Catania con 80 (+7) e le Università di Tor Vergata e Siena con 77 (rispettivamente +7 e +17).

“Per i detenuti, l’esperienza dello studio universitario può assumere diversi significati”, spiega Franco Prina, delegato del Rettore per il Polo Universitario Penitenziario dell’Università di Torino e presidente del Cnupp, tra questi sicuramente quello di “dare un senso a una esperienza difficile e particolare nel proprio percorso esistenziale come quella del carcere: nello studio e nella cultura molti trovano una opportunità di riflessione sulla propria vita e sulle vicende e condizioni che li hanno portati in carcere, ma anche sul mondo, sulla società, sulle condizioni di vita delle altre persone, sui valori, sui diritti, acquisendo o integrando il proprio “capitale culturale”“.

Altro nodo cruciale: il futuro. La formazione universitaria è importante “non solo per il valore che può avere un titolo di studio o per le competenze acquisite”, spiega Prina ma perché in questo modo cresce “l’immagine di sé” rispetto alla famiglia, alla società, ai potenziali datori di lavoro.

Lo studio dunque anche in questo caso come “un vero ascensore sociale” ne è convinto Carlo Salvato, prorettore vicario della Bocconi. L’ateneo milanese, pur essendo una università privata ha aperto come attività filantropica le sue selezioni da tempo anche a chi è in stato di reclusione. Questi possono accedere sia alla laurea triennale che ai master. “Lo abbiamo fatto - spiega Salvato - perché pur essendo un’università sempre più internazionale, riteniamo fondamentale incidere nel contesto in cui affondano le nostre radici”. Si tratta certo di un percorso complesso, perché fatta eccezione per la retta, a carico dell’ateneo, il resto delle condizioni è identico a quello di qualunque altro iscritto, “fra l’altro una delle nostre condizioni è che la persona detenuta debba trovarsi già o trasferirsi in un istituto di Milano”. Ma a fronte di queste difficoltà “i detenuti che si laureano in Bocconi non scontano lo stigma del pregiudizio con cui devono confrontarsi altri detenuti, notiamo infatti che le aziende hanno meno difficoltà a superarlo”, ribadendo così quali siano la capacità della formazione di incidere sul reinserimento.