di Domenico Arena*
Avvenire, 28 novembre 2024
Il carcere non può essere il luogo “in cui si perde ogni speranza”. Le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica suonano come un monito estremo, per il sistema dell’esecuzione penale nel nostro Paese; e obbligano tutti a compiere uno sforzo di analisi complessiva - e per certi versi, impietosa - della sua gestione, in frangenti in cui la speranza pare invece affievolirsi e il dibattito pubblico sul tema rischia di scivolare su un piano inclinato, verso polarizzazioni emotive, prima ancora che ideologiche, tra pulsioni “cattiviste”, tese all’enfatizzazione della dimensione affittiva delle pene; e tentativi di valorizzazione della finalità rieducativa e del reinserimento sociale, spesso percepite come propositi “buonisti” da parte di anime belle idealiste e lontane dalla realtà delle cose.
Vale allora forse la pena di provare a tornare ad alcune questioni concrete che possano servire come punti di riferimento per una riflessione orientata a ricadute positive sull’intero sistema della penalità italiana. La prima di queste questioni riguardala necessità di superare l’idea che le modalità e i contenuti dell’esecuzione delle sanzioni penali siano dati, una volta per tutte, con la condanna del giudice; e che essi debbano consistere pressoché esclusivamente nella detenzione all’interno delle carceri.
Così facendo, non solo si dimentica quanto le nostre leggi - a partire dalla Costituzione, che nona caso parla di pene al plurale piuttosto che di pena - disegnino un sistema sanzionatorio fortemente articolato e diversificato; non solo si ignora - più o meno coscientemente - quanto, nell’esperienza europea ed internazionale questa diversificazione sia già concretamente ed utilmente adottata; ma, soprattutto, si compie un’operazione ingiusta e pericolosa.
Ingiusta, perché trattare in modo analogo situazioni diverse lede alle fondamenta il principio di eguaglianza; e pericolosa, perché la scarsa differenziazione è una delle cause del sovraffollamento carcerario, del rischio che gli istituti penitenziari divengano scuole del crimine e in definitiva, incubatoi di insicurezza sociale.
Le persone condannate - oltre ad essere molto diverse tra loro, sotto il profilo dello spessore criminale e della pericolosità - hanno possibilità e volontà di cambiamento delle proprie traiettorie di vita differenti, nel corso del tempo e col mutare delle situazioni; e un sistema sanzionatorio efficace deve saper cogliere queste differenze e questi cambiamenti in modo accurato e sicuro.
La transizione dall’interno del carcere alla penalità esterna dovrebbe costituire un passaggio tanto naturale, quanto calibrato, controllato e presidiato dal sistema nel suo complesso, in sinergia costante tra carceri ed uffici di esecuzione penale esterna; e la realizzazione di quel passaggio dovrebbe essere riconosciuta ed incentivata come un punto di eccellenza, per gli uni come per gli altri Su questo terreno molto si è fatto, ma moltissimo c’è ancora da fare per superare l’idea che l’unico carcere sicuro sia quello che non permette di varcare la sua soglia.
Un secondo, conseguente punto di riflessione, riguarda gli investimenti e le risorse che questo approccio implica, sotto il profilo della quantità, ma, soprattutto, dal punto di vista qualitativo. Certo, per saper cogliere differenze e cambiamenti, serve un maggior numero e una maggiore diversificazione degli operatori, dalle forze di polizia agli psicologi, educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e penali; così come servono spazi diversi da quelli attuali, per quantità e qualità delle condizioni di vita delle persone condannate e degli stessi operatori.
Ma, accanto e forse persino più di questo, serve una forte accelerazione lungo almeno tre direttrici: la valutazione scientifica del rischio di recidiva nel reato; l’innovazione digitale (e interoperabilità dei sistemi gestionali ed informativi); la gestione delle risorse finanziarie disponibili e/o accessibili.
Sul primo versante, l’attuale stato di avanzamento delle scienze criminologiche consente di adottare strumenti di risk assessment oramai raffinati e capaci di cogliere e aggiornare costantemente nella propria configurazione dinamica, i rischi di ripetizione dei comportamenti delittuosi. La disponibilità e la formazione all’utilizzo di tali strumenti potrebbero accrescere fortemente l’accuratezza e la precisione della delicata opera di valutazione che gli operatori devono compiere quotidianamente.
Ugualmente la realizzazione di una rilevazione sistematica e generale dei tassi di recidiva - oramai a portata di mano, da un punto di vista tecnico - offrirebbe un prezioso strumento di valutazione del tasso di efficacia del sistema sanzionatorio nel suo complesso e una solida base per la calibrazione di scelte orientate all’incremento della sicurezza sociale. Le tecnologie digitali ed informative disponibili rendono accessibile la realizzazione di un modello di gestione dell’esecuzione penale che sappia scambiare informazioni e dati, al proprio interno, in modo efficace, in tempo reale e con flussi di lavoro sicuri.
Non è un tema solo tecnico, ma dalle inimmaginabili ricadute positive, in termini di efficienza del sistema del suo complesso, di risparmio di risorse, di sicurezza dei dati: la recente realizzazione, a cura del ministero della Giustizia, del portale dedicato ai lavori di pubblica utilità rappresenta un esempio di quanta strada si possa percorrere in questa direzione.
Anche in materia di reperimento ed utilizzo efficace delle risorse finanziarie molto può essere fatto, per sostenere un processo di cambiamento tanto necessario ed ambizioso, quanto realizzabile, da subito e a normativa vigente. Il programma “Una Giustizia più inclusiva” porrà a disposizione dell’esecuzione penale un budget di 280 milioni, nel triennio 2025- 2027, finanziato confondi sociali e strutturali europei, realizzando luoghi ed opportunità - dentro e fuori dagli istituti penitenziari, per adulti e per minori - di lavoro, di riflessione di volontariato e restituzione alle comunità di almeno una parte di quanto è stato loro sottratto con la commissione dei reati.
È, anche questo, un esempio e certamente un primo passo nella direzione di un utilizzo pieno ed efficace di risorse che spesso il nostro Paese fatica ad impegnare. Sono investimenti di denaro, ma soprattutto di intelligenze, capacità, strumenti scientifici e tecnologici, che possono rivelarsi di straordinaria redditività e realizzare un deciso cambio di passo nella qualità dell’esecuzione delle pene, più umana e rispettosa della dignità delle persone (le vittime ancor prima degli autori di reato, le rispettive cerchie sociali, gli stessi operatori della giustizia) e delle comunità coinvolte.
*Direttore generale dell’Esecuzione Penale Esterna e Messa alla Prova, Ministero della Giustizia