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di Michele Passione

Il Dubbio, 29 luglio 2023

A chi ogni tanto dimentica che la sovranità popolare va esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione, e non à la carte, a chi pensa che con i pieni poteri è meglio, si fa prima, e calpesta la separazione dei poteri, forse interesserà poco riflettere su queste considerazioni che seguono, che precedono una dichiarazione di intenti che non costituisce più una novità, e dunque non stupisce, ma allarma a prodromi: com’è noto il primo atto di intervento normativo del Governo Meloni è stato il DL 162/ 2022, con il quale (inter alia) sono state introdotte norme in materia di ordinamento penitenziario in ragione dell’affermata “indubbia sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza”, poiché “è noto che, sul tema, è pendente un giudizio di legittimità costituzionale” (così la relazione di accompagnamento).

A tacer d’altro, occorrerebbe ricordare che il monito lanciato più volte dalla Corte (ordd. 97/ 2021 e 122/ 2022) a intervenire in materia non era stato raccolto dal Parlamento, ed anche che il Legislatore di urgenza ha dimenticato come l’art. 77 Cost. consenta l’utilizzo del decreto legge “in casi straordinari di necessità e urgenza”, e all’evidenza ciò che è straordinario non è mai prevedibile ex ante.

Fin qui, sebbene il precedente citato (formalmente presentato come espressione di collaborazione tra poteri dello Stato, ma in realtà esempio plastico di un diritto penale del nemico) si collochi su un piano parzialmente diverso, ma esemplificativo del modo di intendere la regolazione dei rapporti sociali (i rave come il male da combattere, con buona pace dei Baustelle) e istituzionali (fermare la Corte costituzionale), ciò che in questi giorni viene preannunciato mina in radice il principio di separazione dei poteri.

Vediamo perché. Con sentenza emessa il 21 settembre 2022 (non ieri, insomma) la Corte di Cassazione ha ribadito il concetto normativo di criminalità organizzata, muovendo da un consolidatissimo indirizzo ermeneutico (ben tre i precedenti a Sezioni Unite citate), stabilendo dunque come in quel caso le intercettazioni (anche attraverso il trojan) fossero state illegittimamente disposte.

Come già è stato ricordato efficacemente da altre voci (Donatella Stasio, Cataldo Intrieri, Gaia Tessitore, Giuseppe Amarelli) “l’interpretazione autentica si giustifica quando c’è davvero un’incertezza nella lettera della legge o c’è un contrasto interpretativo in Cassazione” (per dirimere il quale si può chiedere l’intervento delle SSUU), “ma non quando non si condivide una sentenza”.

Siccome però serve fare la faccia feroce e prestare ascolto ai desiderata della DNA, il Governo preannuncia un decreto legge (l’ossessione nella testa). Eppure, si ripete, in assenza di contrasto giurisprudenziale sul punto (al contrario, in presenza di un consolidato diritto vivente) difetta il requisito della straordinaria necessità ed urgenza, così esponendo a rischio di declaratoria di incostituzionalità il prospettato strumento, con quel che ne consegue nell’ambito delle singole vicende che dovessero essere interessate dal novum normativo.

Insomma, una legge (non un decreto legge) di interpretazione autentica è utilizzabile quando abbia funzione ricognitiva, e non populista. Diversamente opinando, al formante giurisprudenziale (che ovviamente si può non condividere, quando diventa deformante) si sostituirebbe il potere politico (quello che a volte ignora il senso del divieto, tanto da meritare una richiesta di archiviazione per difetto di elemento soggettivo del reato). Se non è dolo è colpa, diceva qualcuno. Andiamo al mare.