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di Isabella Piro

L’Osservatore Romano, 9 agosto 2023

Mani dietro la testa, a torso nudo e con la fronte schiacciata sulla schiena del compagno di cella: sono i detenuti del penitenziario “Litoral” di Guayaquil che, con i suoi 9.500 detenuti, è il più grande e popoloso dell’Ecuador. La prigione, recentemente, è stata al centro di violenti fatti di sangue: lo scorso 25 luglio sono stati uccisi 31 detenuti, anche se le autorità non confermano i dati. Una vicenda drammatica che ha avuto conseguenze anche a livello nazionale: in tredici carceri del Paese i detenuti hanno avviato uno sciopero della fame e in sette prigioni si sono verificati disordini, con il sequestro di 137 agenti penitenziari. La violenza si è poi riversata anche nelle strade, con i gruppi della criminalità organizzata pronti a contendersi il controllo delle rotte del narcotraffico che ha reso l’Ecuador uno dei principali hub per la cocaina diretta in Europa e Nord America.

Per cercare di arginare il problema, il presidente ecuadoriano, Guillermo Lasso, ha decretato lo stato di emergenza per 60 giorni, mentre le forze armate del Paese hanno effettuato almeno tre blitz al “Litoral”: l’ultimo è avvenuto il 4 agosto e ha visto impegnati circa 3.000 tra poliziotti e militari. L’operazione ha portato al sequestro di armi, cartucce, giubbotti antiproiettile, quasi 26 kg di droga e persino allevamenti illegali di animali, come la tilapia. Due direttori del penitenziario sono stati arrestati, insieme a cinque funzionari e a cinque guardie.

Ma la violenza carceraria in Ecuador ha radici antiche: alla fine del 2020 Jorge Luis Zambrano Gonzaléz, leader della banda dei Choneros, è stato assassinato da uno sconosciuto. Da tre anni a questa parte, dunque, gli scontri tra bande rivali nelle prigioni del Paese hanno portato alla morte oltre 400 persone. Solo nel 2021 il totale dei reclusi vittime di scontri è stato di 327, numero cresciuto del 587 per cento rispetto al 2020. A settembre di due anni fa, proprio la prigione “Litoral” ha visto la rivolta più violenta nella storia del Paese, con 118 detenuti uccisi - alcuni in modo brutale - e 80 feriti, seguita a novembre da un’ulteriore rivolta che ha provocato 68 decessi.

Dati allarmanti emergono anche dal rapporto “Persone private della libertà in Ecuador” pubblicato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) dopo un monitoraggio eseguito a dicembre 2021. Dallo studio si evince che a causare la violenza carceraria è soprattutto la mancanza di controllo degli istituti penitenziari da parte dello Stato, il che consente ai reclusi, a loro volta guidati dalle organizzazioni criminali, di gestire in autonomia il territorio di detenzione. La scarsa sorveglianza, inoltre, favorisce l’ingresso di droghe e armi dietro le sbarre, aggravando violenza e corruzione. Al riguardo, è significativo che il tasso di pericolosità di molti detenuti sia maggiore nel momento in cui escono di prigione, rispetto a quando vi sono entrati.

A tutto questo vanno aggiunte le precarie condizioni di vita per i carcerati, definite dalla Cidh “distanti dagli standard interamericani” a causa di infrastrutture carenti, esiguo livello di cure mediche, alimentazione inadeguata, personale insufficiente e ostacoli a un efficace reinserimento sociale. Senza dimenticare il sovraffollamento, il quale deriva anche dall’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, misura ormai passata da “provvisoria ed eccezionale” a “ricorrente”, tanto da riguardare “più del 39 per cento della popolazione carceraria totale”.

Per questo, la Cidh presenta alle autorità di Quito una serie di raccomandazioni: attuare una politica penitenziaria trasversale per prevenire tutti i tipi di violenza; ridurre la popolazione carceraria attraverso l’applicazione della custodia cautelare in via eccezionale; garantire il reinserimento sociale dei reclusi e assicurare loro condizioni di detenzione “compatibili con la dignità umana”.

Il clima pesante che si respira dietro le sbarre in Ecuador ha allarmato anche l’Onu: solo una settimana fa, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso “profonda preoccupazione”, ribadendo che “le autorità devono proteggere la vita delle persone, comprese quelle sottoposte a custodia statale”. Türk ha poi chiesto una riforma globale del sistema giudiziario penale e ha incoraggiato il governo di Quito ad attuare la politica di riabilitazione sociale dei detenuti, stabilita nel 2022.