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di Cristina Dell’Acqua

Corriere della Sera, 18 giugno 2023

La paura di deludere le aspettative (i nostri giovani vivono all’insegna della prestazione) e di non essere mai abbastanza può essere affrontata disegnando un orizzonte di valori dentro i quali ritrovarsi. Un orizzonte non limitato ma con un limite e un perimetro dentro il quale sentirsi abbastanza.

L’Odissea è un alfabeto per conoscersi e per conoscere, sempre a portata di lettura. Quando abbiamo desiderio di riflettere sui giovani, apriamo le pagine in cui Ulisse torna ad Itaca, non smettono mai di stupire. Negli anni trascorsi a viaggiare Ulisse ha provato cosa significhi essere solo, non più eroe ma naufrago. Per quanto dolorosa, la guerra era stata per lui un perimetro visibile in cui stare, la distruzione di Troia un obiettivo per cui lottare e provare paura e senso di vuoto, esercitare la propria autorevolezza e spronare i compagni e sé stesso e il suo indomabile desiderio di conoscere e conquistare. E arrivato a Itaca, le sue prove non sono certo finite. Non a caso siamo solo a metà dell’Odissea.

Ulisse, ha portato a termine la sua vendetta nei confronti dei Proci, che in sua assenza si erano impossessati della reggia. Ora lo attendono i due momenti che aspettava da troppo tempo, rivedere sua moglie Penelope e il padre Laerte. Saranno due momenti di prove emotivamente dolorose da attraversare ma fondamentali per ritrovarsi (ritrovare la sua vita). Penelope gli sottopone la famosa prova del letto nuziale: quando ordina a un’ancella di trasportarlo fuori dalla porta, Ulisse reagisce attonito perché quel letto, che un tempo aveva costruito lui stesso dal tronco di un ulivo, non poteva essere spostato.

È il momento di incontrare il padre Laerte, Ulisse vuole una prova d’amore da parte sua. Siamo davanti a una delle scene (perché leggendola abbiamo netta la percezione di vederla) tra le più intense dell’Odissea. Ulisse e suo padre sono nel frutteto in cui Laerte lo portava da bambino per insegnargli i nomi delle piante. Sono uno vicino all’altro, ma Laerte non ha ancora realizzato che quello è suo figlio. Il frutteto, al solo vederlo, era la prova che Ulisse tanto cercava, e cioè che suo padre non aveva mai rinunciato a suo figlio, curando quello spazio verde come avrebbe curato lui: Laerte era sporco e trasandato, non sapere dove fosse suo figlio lo aveva logorato, ma il giardino era perfetto, non c’era una pianta, un fico, una vite, un’aiuola che non fossero ben curati.

Prova, senso dell’attesa, ritrovarsi nella cura. Quale giovane non avrebbe bisogno di sentire di essere curato e sognato come lo è stato Ulisse, con il tipo di cura che aiuta a diventare (o a riscoprire) quello che si è. E da cura poi nasce cura, quando qualcuno ha cura di sé poi può avere cura del mondo.Una scoperta che avviene soprattutto a scuola, dove occorre la cura della personalità di ogni studente, che è un investimento umano a lungo termine, non un numero.

Parliamo molto in questo periodo di emergenza educativa. Certo un’emergenza sempre impensierisce. Ma se ci pensiamo è pur sempre segno di qualcosa che emerge e vuole togliere il velo dal proprio disagio. E dentro questa emergenza di cui tanto parliamo ci sono giovani con il loro silenzio rumoroso e ci siamo noi adulti, nessuno escluso. A scuola gli studenti studiano (è vero) ma anche sognano e soffrono. Studiano perché attraverso le più disparate discipline possano coltivare le proprie passioni (studio etimologicamente vuol dire dedicarsi con amore a ciò che si desidera sapere), sognano perché hanno dentro il futuro, soffrono perché crescere comporta delle frustrazioni.

L’emergenza dentro la quale viviamo più che educativa è valoriale e valore è una parola da riscoprire ogni giorno. La fatica di affrontare frustrazioni, scolastiche o sentimentali, è un valore e l’accompagnamento di un adulto che affianca ma non si sostituisce, è un valore aggiunto. Prova, non solo per Ulisse, è una parola ricca di sfumature. Contiene il senso della fatica, del traguardo e dell’esperienza che se ne trae. La prova è come una porta che si apre verso l’interno di noi stessi, a poco a poco, e ci svela i tratti della nostra specifica personalità su cui costruire.

La paura di deludere le aspettative (i nostri giovani vivono all’insegna della prestazione) e di non essere mai abbastanza può essere affrontata disegnando un orizzonte di valori dentro i quali ritrovarsi. Un orizzonte non limitato ma con un limite e un perimetro dentro il quale sentirsi abbastanza. Non a caso a scuola un momento importante dell’educazione è quello dell’orientamento, indirizzare lo sguardo là dove nasce (orior) la propria luce. L’orientamento parte dallo scoprire dentro di sé i propri amori. Non è tanto la scelta di una scuola superiore o di una facoltà universitaria, è piuttosto la scelta di studiare ciò che aiuta a conoscersi e, nel caso di una facoltà universitaria, a disegnare una vita il più felice possibile.

In quel frutteto, un giorno lontano, Laerte aveva regalato a Ulisse ancora bambino tredici peri, dieci meli e quaranta fichi e poi gli aveva promesso cinquanta filari di viti che maturano in tempi diversi. E la capacità di aspettare. All’ombra di quelle piante seminate tempo prima e curate giorno dopo giorno. Facciamolo anche noi.