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di Fabrizio Caccia

Corriere della Sera, 19 luglio 2023

L’Italia e la condanna di Patrick Zaki: il nostro Paese ha già fatto sapere al governo del Cairo che sarebbe pronto a far scontare da noi la pena residua (14 mesi) ottenuta dal ricercatore ed attivista egiziano. C’è una linea labilissima, in diplomazia, che è assolutamente vietato attraversare. È quella che separa un normale lavoro di moral suasion da un’ingerenza negli affari di un altro Paese. Palazzo Chigi e la Farnesina conoscono benissimo questa regola, anche se all’Egitto in diverse occasioni hanno già fatto presente quanto l’Italia “abbia a cuore” i casi di Patrick Zaki e Giulio Regeni, per il quale si chiede ancora giustizia e una punizione per i colpevoli, a più di sette anni dal suo omicidio.

Queste perciò sono ore delicatissime e le parole ieri di Giorgia Meloni (“Il nostro impegno per una soluzione positiva del caso di Patrick Zaki non è mai cessato, continua, abbiamo ancora fiducia”) non sono per niente casuali. Sono parole che esprimono grande premura per Zaki, ma nello stesso tempo si guardano bene dall’invadere il campo del presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi. Il potere di grazia risiede solo nelle sue mani.

Sarà l’Egitto a decidere la sorte dello studente. Zaki è un cittadino egiziano, condannato da un tribunale egiziano con sentenza inappellabile. I rapporti con l’Italia però sono buoni, il neo-ambasciatore del Cairo a Roma, Bassam Rady, già portavoce di al-Sisi, ha presentato a marzo le sue credenziali al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e viene descritto da fonti italiane come “uomo influente e preparatissimo, molto ascoltato dal suo presidente, persona cordiale e ben disposta nei confronti del nostro Paese”. Potrebbe essere lui la persona giusta per sbrogliare l’intrico. L’Italia attraverso i suoi canali diplomatici ha già fatto sapere al governo del Cairo che sarebbe anche pronta a far scontare da noi la pena residua (14 mesi) ottenuta dall’attivista egiziano, che si è laureato in videoconferenza all’Alma Mater di Bologna appena due settimane fa. Lui ora si trova ristretto in commissariato e sarebbe già importante evitargli il trasferimento in un carcere.

Di sicuro, però, le parole di ieri di Meloni stanno a significare anche un’altra esigenza: quella di abbassare subito i toni. Due settimane fa i proclami del ragazzo dopo la laurea (“Ringrazio Bologna e la stampa libera, lo studio è stata la mia resistenza”) hanno creato ulteriore irritazione: in Egitto Zaki fu arrestato tre anni fa con l’accusa di aver scritto notizie false in un articolo sulle discriminazioni contro i copti. Le sue parole, perciò, sono suonate di nuovo come propaganda ostile.

Ma se davvero è la grazia l’unica soluzione per cancellare all’istante i suoi debiti con la giustizia e restituirlo agli affetti in Italia, questo potere ce l’ha solo al-Sisi. In Egitto ora stanno per arrivare due festività molto sentite: oggi, 19 luglio, è il giorno di El Amm El Hijri, l’egira di Maometto, che è anche l’inizio del calendario islamico, il capodanno musulmano; domenica 23 luglio, poi, si celebrerà il giorno della Rivoluzione del 1952. C’è chi spera in un beau geste presidenziale.

Sempre domenica, a Roma, Giorgia Meloni presiederà la Conferenza sullo Sviluppo e le Migrazioni, accogliendo alla Farnesina, insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani, molti capi di Stato e di governo europei, africani e arabi. Sarà l’occasione per confrontarsi sui programmi e per migliorare le relazioni. In fondo, se l’Italia ha bisogno dell’Egitto, anche l’Egitto ha bisogno dell’Italia.