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di Lamberto Franchi

Il Manifesto, 15 agosto 2023

Il conto della guerra scatenata contro le gang lo pagano sempre i poveri. Un anno e mezzo di stato d’eccezione, 73mila arresti, zero processi. E in carcere si muore. Nelle ultime tre decadi El Salvador ha avuto a che fare con un fenomeno pestilenziale: le pandillas, gang criminali come la Mara Salvatrucha e Barrio 18, che nei barrios dimenticati da Dio imponevano la loro legge, il pizzo e la violenza erano la norma. Uscire incolumi da quelle zone era una sorta di lotteria.

Oggi, quel terrore sembra un vecchio ritratto ingiallito, appeso alla parete della storia. Si può circolare, certo, ma non inganniamoci: è come se il mostro, stanco di un volto, ne avesse semplicemente assunto un altro, non meno minaccioso sotto il profilo dei diritti civili e del rispetto della costituzione. A un anno e mezzo dall’entrata in vigore del regime di eccezione, il presidente Bukele sbandiera cifre da capogiro: quasi 73mila arresti. Rina Montti, la directora investigativa di Cristosal - organizzazione che difende i diritti umani in Centroamerica - e altri alti rappresentanti della società civile, segnalano che un terzo potrebbero essere senza giusta causa.

Nelle strade dei barrios, quei quartieri poveri di El Salvador dove la vita presenta il suo volto più crudele, la polizia arriva ed effettua arresti a tappeto, Così capita che le vittime siano le stesse persone, la gente comune un tempo afflitta dalle gang. Chiunque può essere prelevato con la forza davanti alla famiglia. È sufficiente un tatuaggio sospetto, una chiamata anonima.

Un ragazzo di 17 anni è stato arrestato per la strada in pieno giorno, ha appena ricevuto del denaro dalla madre che vive negli Usa ma finisce in carcere con l’accusa di essere un estorsore legato alle gang. A casa non hanno avuto più notizie, e ai familiari è vietato far visita ai detenuti. Un padre prelevato con la forza insieme al figlio di 15 anni e rinchiuso in una cella sudicia e angusta, racconta che sono stati costretti a leccare il cibo per terra, a dormire sul suolo e a subire continui abusi delle guardie.

Insomma, sono i salvadoregni poveri che pagano il prezzo. Finendo in carceri che somigliano a campi di concentramento, dove torture, pestaggi, omicidi, morti per fame o per suicidio, sono al’ordine del giorno. E l’accusa di essere associati alle pandillas diventa un martello che colpisce senza pietà. Una tragedia che nei sopravvissuti lascia ferite e ricordi indelebili non solo nel fisico, ad esempio l’immagine di una guardia che lancia un prigioniero dalle scale o il suicidio di un compagno di cella. E chi ne esce vivo in genere preferisce non parlarne.

Cristosal ha rotto questo silenzio con un rapporto freddo e inesorabile. Sono 153 le persone morte in carcere tra il 27 marzo 2022, quando è stata varato lo stato di eccezione, e il 30 aprile 2023. Le vittime erano tutte in un regime di carcere preventivo. Ma Zaira Navas, una figura di spicco nell’organizzazione, ci ricorda che il bilancio potrebbe essere ancora più grave, parla di fosse comuni, di sepoltura senza nome né rito. “Questo non significa che solo loro sono morti”, sottolinea, facendo riferimento a prove e testimonianze. E poi, come un refrain in questa sinfonia macabra, torna l’eco delle parole di alcuni agenti di polizia, che in forma anonima rivelano il ricatto subito: gli ordini erano chiari, andate e arrestate indiscriminatamente più che potete, o ne pagherete le conseguenze.

Ci sono quelli che hanno cercato di sollevare la voce, come il Movir, il Movimento delle vittime del regime. Hanno osato manifestare, e la risposta è stata immediata: la polizia li ha condotti in commissariato. Solo la presenza dei media li ha salvati da un destino più cupo. Bukele presenta con orgoglio i dati, e aggiunge che l’operazione non è finita. È un uomo di scena, un fuoriclasse nel vendere la sua immagine anche oltre i confini di questo piccolo Paese, che con i suoi circa 6 milioni di abitanti ha tutto l’aspetto di un laboratorio, un esperimento in miniatura. Molti media cantano la canzone di una pace ritrovata, e il carismatico presidente cavalca l’onda verso le elezioni del 2024 che si prospettano vittoriose. La macchina del marketing ha sconfitto i diritti umani in El Salvador.