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di Paolo Comi

Il Riformista, 3 settembre 2022

Il tema del carcere e della detenzione in generale è il grande assente di questa campagna elettorale. Lo si è visto ieri mattina in occasione della manifestazione organizzata a Roma sotto il Ministero della giustizia a sostegno dello sciopero della fame da parte della presidente di Nessuno Tocchi Caino, Rita Bernardini, contro i suicidi nelle carceri.

Tranne Roberto Giachetti, deputato di Italia viva con un passato da radicale come Bernardini, nessun politico ha infatti trovato il tempo per testimoniare vicinanza all’iniziativa non violenta della presidente di Ntc. Eppure i numeri dei suicidi fra le mura degli istituti di pena del Paese sono drammatici: 59 dall’inizio dell’anno, a cui devono aggiungersi 19 decessi al momento “per cause da accertare”.

Pur a fronte di un calo complessivo della popolazione carceraria, attualmente di circa 55mila detenuti, i suicidi hanno invece fatto registrare negli ultimi mesi un aumento esponenziale. Le spiegazioni possono essere diverse. Come ricordato dalla stessa Bernardini, sono sempre di più i detenuti con gravi problemi psichiatrici, incompatibili con il regime carcerario, e che dovrebbero scontare la pena nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Purtroppo tali strutture, nate proprio per accogliere gli autori di reati affetti da disturbi mentali, non hanno un numero di posti sufficienti con la conseguenza che questi soggetti continuano a espiare la propria pena in carcere dove è impossibile qualsiasi terapia e cura specifica. Ai tanti detenuti malati psichiatrici si devono poi aggiungere coloro che sono affetti da tossicodipendenze, circa il 30 per cento dell’intera popolazione carceraria. Anche per costoro è incompatibile la detenzione carceraria dove difficilmente possono essere sottoposti a un programma di disintossicazione. Per Rita Bernardini, al diciottesimo giorno di sciopero della fame, ci sarebbero comunque due soluzioni in grado di dare un certo sollievo a chi sta scontando la pena in carcere.

La prima si tratta di una ‘banale’ circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e riguarda le telefonate che possono essere effettuate dai detenuti, oggi incredibilmente limitate a solo dieci minuti alla settimana. Un aumento del minutaggio complessivo autorizzato dal Dap potrebbe certamente alleviare i momenti di solitudine e sconforto, spesso causa dei suicidi. Molto poche, poi, sono le strutture dove i detenuti possono inviare una mail. Pur a fronte dello sviluppo della rete, nella maggior parte degli istituti di pena si comunica ancora con la lettera inviata in busta con il francobollo. Un sistema ottocentesco che non garantisce neppure tempistiche accettabili: fra l’inoltro, la ricezione e la risposta può trascorrere anche un mese.

La seconda soluzione riguarda il ricorso alla liberazione anticipata speciale, l’aumento dei giorni da scontare per i meritevoli. Per questo provvedimento, però, serve il via libera del Parlamento. Secondo il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, serve allora “un deciso cambio di rotta” da parte di tutti i partiti politici “che metta da parte lo scontro ideologico e ragionando in termini di utilità e funzionalità, nel quadro delineato dalla nostra Costituzione”.

Una effettiva riabilitazione passa dalla possibilità di un concreto reinserimento nella società. E anche su questo fronte i numeri sono impietosi: sui 55mila detenuti, ce ne sono 1.200 che frequentano l’università ma anche 900 analfabeti, solo fra gli italiani, senza considerare gli stranieri.

Il dato che deve, comunque, far riflettere riguarda chi si trova oggi in carcere. 1.301 persone hanno avuto una pena inferiore a un anno mentre altre 2.567 hanno una condanna compresa tra uno e due anni. “Quasi 4 mila persone per cui il carcere non può far nulla: è troppo poco tempo per poter costruire un reale percorso di conoscenza e di riabilitazione, ma è abbastanza per cucire addosso alla persona detenuta uno stigma che ne pregiudica spesso un effettivo reinserimento sociale”, ricorda il Garante, secondo cui “in questi casi il rischio è che il carcere sia inutile in partenza e aggravante in uscita”. Ma, come da più parti ricordato, “il tema del carcere porta pochi voti e scarsi consensi”.