di Lodovico Poletto
La Stampa, 17 settembre 2023
Una neonata muore tra le braccia della madre dopo la traversata dalla Tunisia. Ma sull’isola c’è la grande rivolta. Si può morire anche così, restando vivi. Tenendo in braccio per due giorni un corpino senza vita, pur di non affidarlo al mare. Si può morire dentro mentre la tua Terra Promessa, Lampedusa, cambia linguaggio e gesti e si ribella dopo settimane di pressione degli sbarchi. Blocchi stradali proteste, inseguendo voci e indiscrezioni. Ma giù al molo Favaloro c’è chi piange. La donna del Camerun che ha partorito su un barchino la stanno portando in ospedale con un elicottero. Lei è viva, tutto sommato sta bene. La sua bimba, nata su quella carretta del mare, le è invece spirata tra le braccia qualche ora dopo il parto. E lei l’ha custodita per tutta la traversata. L’ha protetta come si protegge un sogno, anche se ti sta andando in pezzi tra le mani.
C’è un’aria strana oggi su quest’isola. Ed è come se qualcosa si fosse rotto in quel meccanismo di solidarietà ad ogni costo che s’era visto e raccontato per giorni. Blocchi stradali al mattino, presidio al porto la sera. I migranti che spariscono dalla piazza davanti alla chiesa di San Gerlando, quella dove ogni giorno vengono distribuiti, a pranzo e cena, centinaia di pasti. Ed è tutto diverso perché qui, dopo giorni di fatiche, adesso si pretendono risposte. Si annuncia una lettera aperta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Si parla della fatica di andare avanti. Poi scatta un gesto che non ti aspetti. È un attimo. La gente scende in strada davanti al municipio. Blocca il passaggio di un grosso autocarro della Croce Rossa carico d’acqua. Il vicesindaco indossa la fascia tricolore. La gente che urla: “Da qui non passa più nessuno”. E Nunzia, Lina e Tracy prendono in prestito tre sedie da un bar e si siedono davanti al paraurti: “Se vogliono andare avanti devono farlo sui nostri corpi”.
Com’è inconcepibile Lampedusa in fiamme. Che anomalia quella rabbia che monta. Che è montata nella notte appena passata quando qualcuno ha saputo che, nei programmi della Prefettura, c’è la realizzazione di un maxi accampamento nell’area un tempo adoperata dalla base militare americana. E si fanno i calcoli. “Conterrà almeno 8 mila persone: non dobbiamo diventare l’Alcatraz d’Italia”, urlano in piazza. Telefonate. Mediazioni. Il questore di Agrigento che chiama uno dei ribelli di questa piazza in fiamme, Giacomo Sferlazzo. Tranquillizza: “Nessun nuovo centro per migranti appena sbarcati. Sarà un polo logistico”. Fischi. Cambia tono e registro il questore. Urla al telefono, minaccia: “Se vengo lì succede un casino”. Poi, cerca di sdrammatizzare con una citazione ironica del film di Antonio Albanese, “Cetto La Qualunque”: “Oltre che una camomilla pi tutti, pilu pi tutti”. Ma non è con le minacce che calmi gli animi di chi, da giorni, diceva di sentirsi abbandonato. Dallo Stato prima di tutto. Non è per quella minaccia, inutile, che ad un certo punto Nunzia, Lina e Tracy spostano le sedie. E il camion bianco può finalmente arrancare verso l’hot spot. Succede perché vince la solidarietà E le liti in piazza rischiano di degenerare.