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di Valentina Conte

La Repubblica, 6 gennaio 2023

“Se non vogliamo il lavoro povero in Italia, bisogna subito mettersi intorno a un tavolo, governo e parti sociali, come nel 1993 con Ciampi. E tornare a parlare di riforme: lavoro, salari, produttività, cuneo fiscale, formazione, politiche attive”. Emma Marcegaglia, presidente della holding che controlla il gruppo siderurgico di famiglia, guidato insieme al fratello Antonio, ed ex presidente di Confindustria, non vede un rischio recessione per l’Italia nel 2023. Ma sa bene che la questione salariale sarà uno degli snodi dell’anno.

Presidente, i ceti medi perdono potere d’acquisto e hanno eroso i risparmi. I redditi bassi rischiano l’impoverimento. Uno scenario che la preoccupa?”

“Sì, perché un Paese dove aumentano le disuguaglianze e troppe persone sono povere pur lavorando non va bene. Ma se distinguiamo i comparti e vediamo i dati degli ultimi anni, anche prima della pandemia quando l’inflazione era bassa, le retribuzioni nell’industria crescono dell’1,6% all’anno, senza i contratti integrativi. Quelle dei servizi dello 0,4% e della Pa dello 0,5%”.

In trent’anni però i salari italiani calano del 2,9%, quelli tedeschi e francesi salgono del 30%. Perché? Cosa manca all’Italia?

“Problema atavico. Prima del 2008 c’era un problema di produttività serio anche nell’industria, ora l’abbiamo soprattutto nei servizi e nella Pa. Ma dobbiamo anche considerare che siamo il terzo Paese Ocse con il più alto cuneo fiscale: al 46,5%. Non può essere, per fare un esempio, che un dirigente prende 100 e all’azienda costa 300. Se continuiamo solo a intervenire sulle pensioni e non riformiamo il lavoro, non risolviamo il problema. Anche perché le varie Quote - 100, 102, 103 - non hanno funzionato come turnover, come leva per il ricambio dei giovani”.

La manovra appena varata conferma il taglio del cuneo di due punti che arriva a tre per i redditi più bassi. Non basta?

“Come Confindustria abbiamo chiesto cinque punti per avere un impatto forte. E fosse per me li metterei tutti nella busta paga dei lavoratori. Così dai fiducia alle persone, attiri talenti, li paghi meglio, li trattieni di più. Con la spesa pubblica che abbiamo non si possono trovare 16 miliardi? Tagliando solo 2-3 punti ai redditi bassi non sposti molto. Anche perché il problema è pure del ceto medio. Capisco la scelta di dedicare 21 miliardi su 35 alle bollette, l’avrei fatto anch’io. Ma non avrei esteso la flat tax a 85 mila euro, penalizzando così il lavoro dipendente. E poi dobbiamo pensare ai giovani. I migliori se ne vanno e non tornano. Le imprese non trovano manutentori e operai specializzati, tecnici informatici, faticano anche per i responsabili commerciali”.

Di chi è la colpa? Come ne usciamo?

“Dobbiamo tornare a fare le riforme, ci mancano quelle. Dopo la doppia crisi degli anni Duemila - subprime e debiti sovrani - il sistema industriale italiano ha fatto passi avanti incredibili: imprese più patrimonializzate, meno debito, più capitale, più investimenti ed esportazioni. Anche grazie ad Industria 4.0 che purtroppo ora è stata dimezzata. Ma per fare il salto abbiamo bisogno di riforme: Pa, fisco, lavoro, semplificazioni, concorrenza, giustizia. E soprattutto scuola e formazione. È mai possibile che non si trovano il 40% delle competenze?”.

L’inflazione ha invertito la rotta. Perché in Italia scende meno che altrove in Europa?

“Il trend però è in calo anche qui. E sono convinta che nei prossimi mesi avremo una discesa al pari degli altri. Penso anche che da noi hanno pesato molto i grandi risultati di due settori andati meglio che in altri Paesi Ue: l’industria e il turismo. In questo senso è un’inflazione buona, da risveglio, da successo. L’industria italiana ha un’agilità, una flessibilità e una velocità di adattamento alle crisi e di ripartenza che in Germania si sognano”.

Cosa si aspetta dall’economia italiana nel 2023? La discesa del prezzo del gas è solida?

“Forse abbiamo scongiurato i razionamenti. E con ogni probabilità eviteremo la recessione, seppur registrando una prima parte dell’anno negativa. Ma sarà un 2023 molto incerto, sul filo della stagnazione. Stiamo già registrando un rallentamento negli ordini. Siamo tutti contenti di vedere il gas calare a 64 euro al megawattora, ma eravamo a 20 nel 2019. E non torneremo a quei livelli per anni. Un prezzo attorno ai 60-80 euro è comunque troppo alto. E c’è anche un tema di lungo termine di competitività: una questione che si deve porre con forza in Europa, tanto più ora che gli Usa hanno alzato la bandiera del protezionismo con il “Buy American”. Se non reagiamo, rischiamo di essere spiazzati”.

La Bce continua ad alzare i tassi per contenere le spinte inflattive. Giusto o sbagliato?

“L’indipendenza della Bce è sacrosanta. Ma questo non ci esime dall’esprimere un giudizio. Forse ha sbagliato a non alzare i tassi prima, quando sosteneva che l’inflazione era temporanea. E forse sbaglia ora a non considerare che lo scenario sta cambiando, tra gas e prezzi in discesa. Non vorrei che all’errore di alzare i tassi troppo tardi, si aggiunga ora quello di spingerci verso la recessione”.