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di Pietro Grasso

L’Espresso, 6 novembre 2022

Senza entrare nelle altre questioni sul tema giustizia, certamente positiva è l’attenzione con cui il Governo come primo atto ha affrontato il tema dei reati ostativi alla concessione di benefici penitenziari, il cosiddetto ergastolo ostativo, trasponendo in un decreto legge il testo approvato a larga maggioranza dalla Camera nella scorsa legislatura.

Così come ho accolto con particolare favore l’annuncio del presidente Meloni, in conferenza stampa, di “passi avanti” nella lotta alla mafia e di possibili miglioramenti delle norme in sede di conversione.

Si ha la consapevolezza che si tratta di un problema complesso la cui soluzione deve trovare il giusto equilibrio tra l’attuazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, messo in crisi dal “fine pena mai”, le esigenze di sicurezza sociale, travolte dalla liberazione di pericolosi condannati, e infine la salvaguardia, se non l’incentivazione, del sistema dei collaboratori di giustizia, che, superando giuramenti di eterna fedeltà alla regola del silenzio e dell’omertà, si è rivelato fondamentale per il perseguimento di quel diritto alla verità, ancora parzialmente realizzato, il solo che possa restituire dignità allo Stato e alle vittime di sanguinose stragi.

Non mi appassiona l’idea di partecipare al derby tra super garantisti, magari tacciati di collusione con la mafia, e super giustizialisti, forcaioli e manettari, quelli del “buttiamo via la chiave”. La Corte costituzionale, con l’ordinanza 97/2021 ha dato un meritorio segnale di leale collaborazione istituzionale, differendo la pur palesata dichiarazione di incostituzionalità, per consentire al Parlamento di approvare le opportune modifiche.

Il testo approvato a larga maggioranza dalla Camera il 30 marzo 2022 ha certamente il merito di avere superato i rilievi di incostituzionalità, tuttavia nel cercare il consenso più largo possibile ha finito per mantenere talune sovrapposizioni di norme, dubbi applicativi e inaccettabili criticità, che ne hanno provocato la mancata approvazione in Senato prima della conclusione anticipata della legislatura.

a certamente superata la criticità sorta con l’introduzione di un nuovo comma (1-bis.2) e la mancata abrogazione di un comma previdente (1-ter) per identiche tipologie di reati se commessi in associazione, dal momento che non rimane chiaro, né per i condannati e tantomeno per i giudici, quale sia il regime istruttorio, l’onere probatorio, nonché l’organo competente a fornire i pareri e le informazioni. Così come perplessità sorgono nel mantenere un regime più lieve per i reati di omicidio, rapina ed estorsione aggravata rispetto, ad esempio, a forme di associazione finalizzate a reati contro la pubblica amministrazione.

Il testo oggi trasfuso integralmente nel decreto-legge governativo ha accolto tanti dei suggerimenti prospettati dalla Corte, tra cui quello di considerare oltre all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata anche il pericolo del ripristino di tali collegamenti, tuttavia non ha avvertito la necessità - puntualmente richiesta dalla stessa Corte, ed evidenziata nella relazione della Commissione antimafia, approvata all’unanimità, di cui sono stato correlatore - di mettere ordine tra reati espressivi di criminalità organizzata e reati individuali che nulla hanno a che fare con tale criminalità, così creando una paradossale disparità a danno di condannati per reati individuali, rispetto ai quali non ha senso chiedere di dimostrare l’estraneità ad organizzazioni criminali.

La ragionevolezza di una procedura rafforzata si giustifica solo per quel tipo di reati indicativi dell’estrema pericolosità e di una conclamata difficoltà nel recidere i legami con l’organizzazione criminale.

Auspico che i parlamentari in sede di conversione possano far tesoro di tutti i precedenti lavori, nonché delle valutazioni espresse da vari Presidenti di importanti Tribunali di Sorveglianza, per migliorare questa legge anche su altri punti che misi in evidenza con la presentazione di precisi emendamenti che possono essere recuperati. Del resto una legge che contraddice i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, da sempre a fondamento delle pronunce della Consulta, rischia di incorrere in nuove e diverse dichiarazioni di incostituzionalità.

Per evitare effetti e rapporti giuridici che possono sorgere nel provvisorio vigore di un atto avente forza di legge che può ancora essere modificato, si auspica che la magistratura di sorveglianza possa attendere la definitiva conversione in legge del decreto, così come la Corte Costituzionale, e la Corte di Cassazione, giudice che ha rimesso la questione al vaglio della prima, possano valutare positivamente l’intento di provvedere con urgenza da parte di Governo e Parlamento, attendendo per le loro valutazioni sul superamento dei rilievi di costituzionalità i sessanta giorni di validità del decreto-legge.

È troppo pretendere, nel trentesimo anniversario delle stragi del 1992, che mafiosi irriducibili che hanno rifiutato e rifiutano di contribuire all’accertamento della verità, debbano fornire per ottenere anche il più piccolo beneficio, una prova rigorosa, oltre ogni ragionevole dubbio, che sia cessata la loro appartenenza a Cosa nostra?