di Donatella Stasio
La Stampa, 25 gennaio 2023
Il decreto Meloni ha reso impossibile accedere a permessi e sconti di pena richiedendo troppe condizioni. La prova diabolica riguarda non solo l’inesistenza dei legami con la mafia, ma l’impossibilità di ricostituirli. L’ergastolo ostativo è morto, W l’ergastolo ostativo! Nel dibattito - a tratti surreale - sul “fine pena mai” rianimato dall’arresto del boss Matteo Messina Denaro, la parola passa oggi alla Cassazione.
La prima sezione penale dovrà pronunciarsi sulla riforma approvata a fine anno, con la conversione in legge del decreto Meloni (quello su rave e vaccini) varato in tutta fretta a ottobre per dribblare la Consulta che l’8 settembre avrebbe altrimenti dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo. E infatti, la Consulta passò la palla alla Cassazione prendendo atto che l’ergastolo non è più ostativo.
In quanto il decreto Meloni consente ai condannati per i reati indicati nell’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario di essere “ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni” ma anche in assenza di collaborazione con la giustizia. Insomma, per la Consulta il decreto del governo ha fatto cadere la presunzione assoluta di pericolosità legata a doppio filo alla collaborazione con la giustizia, che ha fatto morire in galera centinaia di ergastolani (Francesco Grignetti, su questo giornale, ne ha contati 111 tra il 2001 e il 2020) e non tutti boss mafiosi. Valuta tu le nuove norme - ha detto la Consulta alla Cassazione - e decidi se ripropormi la questione di legittimità costituzionale oppure no.
È quello che deciderà oggi, a porte chiuse, il collegio presieduto da Stefano Mogini, dopo aver ascoltato il relatore Giuseppe Santalucia anche alla luce della memoria dell’ergastolano Salvatore Pezzino. Stranamente, fino a ieri non risultava depositata alcuna memoria della Procura generale, che in tal caso sarebbe assente.
Già nel 2019 - quando la Consulta scardinò il sistema dei permessi premio preclusi in modo assoluto ai condannati (anche all’ergastolo) per reati ostativi, non collaboranti - si scatenò il putiferio dal fronte “l’ergastolo ostativo non si tocca”: appelli, accuse alla Consulta e alla Corte europea dei diritti dell’uomo di aver assecondato richieste di Cosa nostra, allarmi per l’imminente uscita dal carcere di pericolosi boss mafiosi, porte aperte persino ai detenuti al 41 bis, come i fratelli Graviano… Dopo tre anni e mezzo, nulla di tutto questo è accaduto. Ergastolo ostativo e 41 bis sono due cose diverse eppure continuano ad essere confusi in una certa narrazione. Ma tant’è. Ad oggi, su 1822 ergastolani, ben 1280 sono ostativi ma dal 2019 solo 24 hanno ottenuto permessi premio; nessuno ha ottenuto la liberazione condizionale. Inutile dire che il problema non si è mai posto per i 732 ristretti al 41 bis (che fra l’altro non sono tutti ergastolani). Più alto, ovviamente, il numero di permessi richiesti da condannati per reati ostativi ma a pene diverse dall’ergastolo.
Ad oggi, il punto fermo è che l’ergastolo ostativo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni non esiste più. Nato nel 1992, dopo la strage di Capaci, è stato cancellato dalla riforma Meloni che ha sostituito la preclusione assoluta di pericolosità - un marchio a vita per una tipologia di ergastolani - con una preclusione relativa: in sostanza, la collaborazione con la giustizia resta un elemento importante per valutare il distacco del detenuto dal sodalizio criminale ma non è l’unico; la chiave per aprire la porta del carcere è ora rappresentata da un “regime probatorio rafforzato”, una super-prova che qualcuno ha definito “diabolica” e quindi impossibile. A questo risultato si è arrivati non in virtù di una trattativa Stato-mafia né per iniziativa del legislatore ma, semmai, per merito dei magistrati di sorveglianza che hanno attivato la Corte costituzionale e la Cassazione, cioè di giudici non manovrati o intimiditi dalla mafia ma indipendenti. Un valore, l’indipendenza, che come ha detto ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è un “pilastro della nostra democrazia” e che quindi va rispettato e difeso dai tentativi di delegittimazione ma anche da quelli, striscianti, di trasformare i giudici in burocrati.
La prima modifica all’articolo 4 bis risale al 1991. Ci lavora anche Giovanni Falcone, ben consapevole, però, della sottile linea rossa da non oltrepassare: la Costituzione. E infatti il decreto legge 152 stabilisce che i condannati per mafia e terrorismo possono chiedere i benefici solo in presenza di “elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva”. Già allora si parla di prova diabolica, perché bisogna dimostrare l’inesistenza di collegamenti che si presumono esistenti. Ma non c’è una preclusione assoluta, introdotta invece dopo le stragi, con il decreto legge 306. È lì che nascono ergastolo ostativo e 41 bis.
Dopo trent’anni, ecco la riforma. Il decreto Meloni anzitutto aumenta da 26 a 30 anni la pena da scontare prima di poter chiedere la liberazione condizionale: è una modifica peggiorativa, per di più retroattiva, quindi potrebbe essere incostituzionale sulla base di una recente sentenza della Consulta, la n. 32 del 2020. In secondo luogo, il Dl mette sullo stesso piano tutti i benefici (permessi, lavoro all’esterno, liberazione condizionale, misure alternative) e per ciascuno di essi - quindi anche per un solo giorno di permesso - richiede una montagna di condizioni: l’integrale pagamento delle spese legali, il risarcimento dei danni, essersi attivati con le vittime per risarcire i danni e per avviare un percorso di giustizia riparativa. Ma la vera prova diabolica riguarda non solo l’inesistenza dei legami con il sodalizio criminoso quanto, soprattutto, l’inesistenza del pericolo di ripristino di quei legami sia con l’organizzazione sia con il contesto (concetto, quest’ultimo, piuttosto fumoso).
La legge di conversione ha un po’ alleggerito le previsioni del Dl. Ha per esempio sfrondato l’elenco dei reati ostativi (ne sono usciti quelli contro la pubblica amministrazione) ma soprattutto ha restituito ai magistrati di sorveglianza la competenza sui permessi, che il decreto aveva loro sottratto - ritenendo che potessero essere “intimiditi” (sic) - trasferendola ai Tribunali di sorveglianza, i cui tempi di decisione sarebbero stati però incompatibili con la scansione temporale dei permessi durante il percorso di reinserimento del detenuto. La legge di conversione se ne fa carico, anche se impone che ogni tre mesi l’istruttoria ricominci da zero con informazioni aggiornate, il che rischia nuovamente di strozzare la scansione temporale dei permessi. Tanto più che gli interlocutori istituzionali del giudice di sorveglianza (Procura nazionale antimafia, Procure distrettuali e Procura del luogo in cui è avvenuta la condanna) non sono attrezzati con sufficienti risorse e strumenti per garantire risposte adeguate (ma la Pna ha appena approvato un apposito protocollo).
Questo è il vero anello debole della riforma, che punta a bilanciare le esigenze della sicurezza con quelle della rieducazione. La credibilità dello Stato contro la mafia passa anche da qui: il ministro della Giustizia deve dotare gli uffici, dalla sorveglianza alle Procure, dei mezzi necessari per farli funzionare e per garantire così sicurezza e funzione rieducativa della pena.
La mafia non è stata sconfitta con l’arresto di Messina Denaro ma la caduta dell’ergastolo ostativo non c’entra con quell’arresto. È una vittoria della cultura della legalità costituzionale su quella mafiosa. E non sarà un ostacolo alla lotta alle cosche. Nella lectio magistralis all’Università di Pisa, intitolata I diritti umani, tra il dire il fare, pubblicata su questo giornale, Giuliano Amato - che nel 1992 guidava il governo - ha detto una cosa poi ripetuta in una recente intervista a Simonetta Fiori: “Noi abbiamo alcune questioni aperte, e lo dico avendo firmato io stesso parte della legislazione antimafia. Siamo orgogliosi di aver combattuto terrorismo e mafia senza leggi speciali, ma non è men vero che nella nostra legislazione ordinaria abbiamo messo norme speciali che sono da regime di sospensione dei diritti. E alcune sono ancora lì”.