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di Conchita Sannino

La Repubblica, 28 ottobre 2022

Niente revisione, per ora. Nessuna liberazione anticipata, restino in carcere boss e mafiosi condannati al fine pena mai, il contrario di quanto chiedevano l’Europa e la Corte italiana. Ma l’8 novembre scade l’aut aut della Consulta.

Porte sprangate. Il governo Meloni non farà una corsa contro il tempo, per riaprire le celle dei boss mafiosi. Sull’ergastolo ostativo infatti la presidente del Consiglio - direttamente dal banco del Senato, mercoledì, durante una replica - rivendica la propria originaria battaglia, e chiama a raccolta gli altri, per “tutelare insieme”, sottolinea, “uno degli strumenti più efficaci di contrasto al crimine organizzato”. Quindi niente revisione, per ora. Nessuna liberazione anticipata, restino in carcere boss e mafiosi condannati al fine pena mai, se non hanno dato prova di collaborazione con la giustizia. Esattamente il contrario di quanto chiedevano l’Europa, e la Corte italiana. Che, accogliendo la questione di legittimità sollevata dalla Cassazione dopo il ricorso di Giovanna Araniti - legale dell’ergastolano Francesco Pezzino, dalle cui istanze di liberazione condizionale è partito tutto - aveva dichiarato l’incostituzionalità di quella norma, disponendo che il legislatore provvedesse a modificare le norme. Di rinvio in rinvio, i giudici hanno dato di tempo fino all’8 novembre, data della prossima udienza. Improbabile tuttavia che, in dodici giorni, il nuovo Parlamento faccia ciò che i predecessori non sono riusciti a fare in diciotto mesi.

La sfida della premier - Giorgia Meloni chiama le opposizioni, alla voce Antimafia, in Senato. “Immagino che saremo d’accordo sul cercare strade comuni per tutelare uno degli istituti più efficaci nella lotta alla mafia, che nacque proprio negli anni delle stragi: cioè il carcere ostativo, che rischiamo di perdere. E che credo insieme si debba cercare di difendere”. Per Fratelli d’Italia, si tratta di una battaglia identitaria: già alla Camera, si erano posti contro la legge che ammorbidiva il “fine pena mai”. Per il partito di Meloni, la sicurezza e la lotta al crimine organizzato passa anche attraverso il “rigore” di strette indispensabili, di fronte alla pericolosità del terrorismo mafioso.

La bocciatura della Consulta - È il 15 aprile del 2021 quando la Consulta, trattando il caso del capomafia Pezzino, accusato di omicidio in Sicilia, stabilisce che l’ergastolo a vita, quello che preclude al detenuto una libertà condizionale anche dopo 26 anni già scontati (e sempre in assenza di una collaborazione con la giustizia), “è incompatibile con la Costituzione”. Si tratta di un punto fermo su cui la politica deve assumere le proprie responsabilità, sembra dire la Corte: che dà al Parlamento un anno di tempo, fino al maggio del 2022, per cambiare le norme. Secondo la Corte, infatti, intervenire direttamente significherebbe mandare in tilt il sistema, comporterebbe un contraccolpo per le linee di contrasto alla criminalità organizzata.

Il Sì della Camera alle nuove norme - Il primo aprile scorso, la Camera approva la nuova legge sull’ostativo. Che cosa cambia, concretamente? Che i benefici possono essere concessi a quegli ergastolani se: è riscontrato l’adempimento delle obbligazioni civili e gli obblighi di riparazione pecunaria, ma soprattutto in presenza di elementi che “consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”, nonché “il pericolo di ripristino di tali collegamenti”. Il sì alla liberazione condizionale che oggi è preclusa avverrebbe comunque a fronte di 30 anni (e non 26) di pena scontata e a valle di articolati passaggi: il giudice di sorveglianza acquisirà il parere del pm, e le informazioni dal carcere dove è detenuto. Dopo 30 giorni, però, anche senza le risposte attese, il giudice è tenuto a decidere. La legge passa con 285 sì, si astengono Fdi, Azione e Iv. C’è voluta la mediazione della Guardasigilli Cartabia per trovare una sintesi: e dopo il forte scetticismo iniziale, aderiscono anche Piero Grasso e Maria Falcone.

La palla torna alla Consulta, udienza l’8 novembre - Mancava solo il passaggio al Senato. Ma la legge va a rilento perché, nel frattempo, la Giustizia aveva dovuto accelerare sulla riforma del Csm, in vista del rinnovo del Consiglio. Così, a maggio, proprio su richiesta di Palazzo Chigi inoltrata attraverso i suoi avvocati dello Stato, la Corte Costituzionale aveva concesso ancora un rinvio: fissando la discussione all’8 novembre, data entro la quale le nuove norme dovevano essere già passate anche a Palazzo Madama. Ma la caduta del governo Draghi ha spazzato via ogni piano. Tra dodici giorni, alla nuova udienza, scatta il gong della Consulta: che dovrà decidere se lasciare ancora l’ultima mossa alla politica, quindi ai nuovi eletti, oppure intervenire.