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di Francesca Del Vecchio

La Stampa, 16 agosto 2024

“Dallo studio al lavoro, dai viaggi allo sport: la nostra odissea quotidiana”. “Senza cittadinanza è dura trovare un lavoro stabile. E senza lavoro non ho uno dei requisiti necessari per la richiesta”. È il paradosso di chi come Ermir, 22 anni, origini albanesi ma da 18 in Italia, non riesce a ottenere la cittadinanza italiana. Ogni anno sempre più stranieri affrontano la burocrazia: circa un milione gli extracomunitari in attesa della cittadinanza a causa di una legge del ‘92 che prevede che la si acquisisca solo “iure sanguinis”, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. L’alternativa è attendere i 18 anni e presentare i documenti richiesti: reddito, studi, casellario giudiziario.

“Ho frequentato le scuole in Italia fino al quarto anno delle superiori - prosegue Ermir - Poi, ho iniziato a lavorare come muratore e non ho preso il diploma”, racconta. “Quando è arrivata la pandemia, chi aveva solo il permesso di soggiorno è stato tra i primi a essere licenziato. Da allora, ho avuto solo impieghi saltuari”. Dunque niente continuità reddituale. “Il problema è che con il permesso di soggiorno è più difficile ottenere un lavoro, i capi ti vedono come un potenziale problema. Quindi, o non ti assumono, o ti prendono in nero e addio documenti”. Ermir non è il solo a lottare per una cittadinanza che non arriva. “Sono nato in Italia da genitori albanesi e la mia sfortuna è stata di compiere 18 anni prima che loro la ottenessero. Per la legge ero maggiorenne, quindi non potevo averla automaticamente insieme a loro come accade per i minori”. Timm ha 19 anni, i suoi sono arrivati in Italia 20 anni fa. La sua storia è simile a quella di altre migliaia di ragazzi, 53.079 i nati in Italia nel 2023 da genitori stranieri. Il caso limite è quello di Nedzad, 32 anni, “italiano di Centocelle”, precisa con accento romano. “Sono nato in Italia da papà bosniaco di etnia rom e mamma apolide. Fino a qualche anno fa ero uno straniero con permesso di soggiorno per motivi umanitari: un rifugiato, praticamente. Oggi, sono apolide come mia madre e quattro dei miei fratelli (gli altri 5 hanno ancora il permesso di soggiorno umanitario, ndr”).

Nedzad, che però dagli amici si fa chiamare Pio, ci ha messo cinque anni per il riconoscimento dello status di apolidia e “solo due mesi fa, per la prima volta, ho potuto prendere un aereo e andare all’estero”. La sua è una storia complicata, fatta di burocrazia mancata - non è riuscito a presentare la richiesta di cittadinanza a 18 anni, nei tempi previsti - e di documenti sostitutivi: “Sul permesso di soggiorno che avevo c’era scritto che ero nato in Bosnia, ma non è vero. Quel documento era come falso, visto che erano false le informazioni che conteneva”. Anche Nedzad come molti altri in attesa di risposte dallo Stato ha frequentato le scuole, oggi lavora e “crea Pil”, come dice lui. Ma ha dovuto rinunciare alla laurea e accontentarsi di un percorso di formazione per poter accedere alla professione che esercita da 12 anni: l’educatore. Il calvario dura anni anche per chi ce la fa a ottenere “un pezzo di carta senza alcun valore per chi si sente italiano”, spiega Great Nnachi, atleta torinese di 20 anni figlia di genitori nigeriani ma nata in Italia. La sua battaglia è iniziata quando di anni ne aveva 14: “Avevo raggiunto un record sportivo che per il regolamento non poteva essere registrato perché non ero italiana”, racconta. Grazie all’aiuto della Fidal (la federazione atletica leggera) ha scritto al capo dello Stato che l’ha nominata Alfiere della Repubblica ma “ho dovuto comunque attendere di averne 18 per fare richiesta”. Great è stata fortunata: la sua pratica è stata risolta in pochi mesi.

“La legge così com’è non pensa ai giovani”, è la riflessione di Danielle Madam, atleta pavese e oggi anche personaggio televisivo. Nata in Camerun e arrivata in Italia da bambina, ha battagliato per tre anni sperando che la sua voce venisse ascoltata. “Erano gli anni del caso Suarez (e dello scandalo dell’esame di italiano agevolato per ottenere la cittadinanza, ndr), mi sembrava ingiusto che gli fosse stata data una possibilità che altri non hanno”. Danielle ha ottenuto la cittadinanza tre anni fa, “dopo 17 anni di studio e lavoro in Italia. Credo che non sia giusto sottoporre le persone a un calvario così”. Sirgena, invece, è arrivata in Italia a 4 anni - oggi ne ha 22 - dall’Albania. “La mia pratica è rimasta ferma in Comune per quasi tre anni. Ricordo il modulo che ho dovuto compilare: mi si chiedeva perché avevo scelto l’Italia… Che domanda è? Io sono italiana”.