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di Alessio Di Sauro

La Repubblica, 22 dicembre 2023

Il tribunale di Milano ha accolto il ricorso per ottenere la Naspi di un uomo che nel 2021 in carcere aveva fatto l’imbianchino e l’aiuto cuoco: “È in regola con tutti i requisiti”. Ha lavorato per otto mesi come imbianchino e inserviente di cucina all’interno del carcere di San Vittore fino a quando è stato scarcerato per la concessione degli arresti domiciliari a Milano; ora ha diritto a ricevere l’indennità di disoccupazione Naspi.

È quanto ha stabilito il tribunale di Milano accogliendo il ricorso di un ex detenuto che aveva prestato attività lavorativa per conto dell’amministrazione penitenziaria e che, una volta tornato a casa, aveva citato in giudizio l’Inps per il mancato riconoscimento dell’indennità al termine della cessazione del rapporto di lavoro.

Il detenuto, recluso a San Vittore da settembre 2020 a settembre 2021, era stato ammesso al beneficio del lavoro all’interno del carcere: aveva prestato servizio per otto mesi come imbianchino e per uno come aiuto cuoco, con un giorno di riposo a settimana, ricevendo regolare compenso, versando le tasse all’erario e i contributi all’Inps.

Ma l’istituto di previdenza sociale aveva rigettato la sua richiesta di indennità sostenendo che il lavoro all’interno del carcere (cosa diversa invece per l’attività esterna alle dipendenze di soggetti terzi) avesse peculiari caratteristiche volte al reinserimento sociale in grado di escludere la concessione della Naspi. Tra queste il fatto che l’accesso al lavoro fosse possibile grazie a una graduatoria e, soprattutto, che fosse a rotazione tra i detenuti, che si avvicendavano periodicamente: circostanze che, secondo l’Inps, non avrebbero potuto essere assimilate al licenziamento, a cui è unicamente collegato il diritto all’indennità.

Un diniego che il tribunale ha ritenuto infondato. Il giudice Riccardo Attanasio ha infatti stabilito che non esistono specifiche disposizioni che escludono il riconoscimento della Naspi ai detenuti: anche la scarcerazione e l’avvicendamento interno al lavoro previsto dai regolamenti penitenziari costituiscono condizione in grado di giustificare lo stato di disoccupazione involontaria, requisito essenziale per la concessione dell’indennità.

“Questa è la terza sentenza che fa luce sull’argomento - spiega Ivan Lembo, responsabile del dipartimento delle politiche sociali di Cgil Milano, che ha assistito il detenuto assieme al patronato milanese dell’Inca -, ci sono state pronunce identiche a settembre del 2022 e a luglio del 2023. Stiamo già preparando nuovi ricorsi”. I detenuti ammessi al lavoro interno al carcere sono di solito circa il 30 per cento del totale, e percepiscono i due terzi della retribuzione prevista dal contratto collettivo di lavoro per la professione di riferimento.

“L’Inps ha iniziato a negare i sussidi nel 2019, senza che fosse intervenuto nessun cambiamento nella normativa - osserva Davide Bandi, direttore di Inca Cgil. La legge stabilisce che i lavoratori che prestano servizio per l’amministrazione carceraria debbano godere dello stesso trattamento di coloro che lavorano fuori dalle mura del carcere per cooperative o datori terzi”.