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di Alessandra Muglia

Corriere della Sera, 6 agosto 2023

Il deposto Bazoum: rischio per tutti con l’intero Sahel sotto influenza russa. I golpisti cancellano gli accordi con Parigi. Fosche nubi si addensano sul cielo del Niger, da dieci giorni in ostaggio dei golpisti. Domani scade l’ultimatum dell’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, che domenica scorsa aveva minacciato di ricorrere alla forza, come ultima opzione, se non fosse stata ripristinata la legalità nel giro di una settimana. Ma le speranze che queste minacce e le pesanti sanzioni potessero bastare per far sedere al tavolo i militari ribelli e indurli a rientrare nei ranghi si sono affievolite.

Ieri la delegazione di negoziatori dell’Ecowas guidata dall’ex presidente nigeriano Abubakar è tornata da Niamey a mani vuote: è stata snobbata dal leader golpista, il generale Tchiani, e non ha potuto incontrare nemmeno il presidente Mohamed Bazoum, sempre più isolato. Tenuto prigioniero nel suo palazzo dalla notte del colpo di mano, sarebbe stato silenziato dopo l’appello disperato lanciato dalle colonne del Washington Post. “Chiedo al governo degli Stati Uniti e all’intera comunità internazionale di aiutarci a ripristinare il nostro ordine costituzionale. Lottare per i nostri valori condivisi, tra cui il pluralismo democratico e il rispetto dello stato di diritto, è l’unico modo per compiere progressi sostenibili contro la povertà e il terrorismo” ha invocato. Il leader deposto ha messo in guardia sui “rischi devastanti ben oltre i nostri confini” che, dopo Mali e Burkina Faso, anche il Niger possa cadere nella sfera di influenza della Russia. Il presidente filosofo ha chiamato alla mobilitazione l’Occidente con toni da Zelensky d’Africa. Lui però sarebbe stato messo subito a tacere: il suo partito ha fatto sapere che Bazoum ora non riesce più a comunicare con l’esterno per mancanza di segnale.

Del resto, fallita la missione negoziale, crescono le possibilità di un intervento militare regionale, tanto temuto in Occidente ma anche in Africa. E i due fronti rivali si stanno preparando al peggio. Da un lato la giunta golpista ha incontrato le autorità dei regimi che la sostengono — Mali, Burkina Faso e Guinea; ha cancellato gli accordi di cooperazione militare con la Francia, decisione respinta da Parigi secondo cui “solo le autorità legittime del Niger” sono titolate a rivedere le intese. Gli ufficiali ribelli hanno anche iniziato a silenziare le voci di “dissenso”: sono state sospese in Niger le emittenti France 24 e Radio France Internationale. E intimidazioni stanno cercando di soffocare anche voci scomode sul web. Ieri la blogger nigerina Samira Sabou ha annunciato che sospenderà i suoi post. “Sono stata contattata da un soldato. Mi ha chiesto perché stamattina, sulla mia pagina, ho condiviso il messaggio dell’ex presidente Bazoum Mohamed. Secondo lui non avrei dovuto farlo”, ha raccontato. Poco importa che ore dopo sia ritornata sui suo passi parlando di “malintesi”.

Anche l’altro fronte si sta preparando al peggio. Ad Abuja, capitale della Nigeria, Paese guida dell’Ecowas, si è concluso ieri il vertice dei capi di stato maggiore dell’organizzazione regionale chiamati a definire il piano per un eventuale intervento militare. Al termine, il presidente Bola Tinubu ha informato il Senato dei preparativi militari in atto. Un intervento in Niger farebbe molto affidamento sul coinvolgimento di Abuja. La Nigeria rappresenta il 63% della produzione economica del blocco e ha il più grande esercito della regione, con 223.000 soldati e aerei da combattimento di fabbricazione Usa, cinese e tedesca.

Due schieramenti africani contrapposti, con l’Occidente che osserva a distanza, preoccupato. L’ex potenza coloniale francese non si oppone a un intervento dell’Ecowas, ma diffida dell’azione diretta e non vuole nemmeno essere sospettata di essere coinvolta. Basti pensare che poche ore prima del golpe, l’intelligence francese aveva consigliato all’Eliseo di inviare le forze speciali nel palazzo di Niamey, ma seguì un rifiuto, per timore di sembrare colonialisti: “Non possiamo restare nella Françafrique”, dopo l’umiliante ritirata dal Mali