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di Roberto Saviano

Corriere della Sera, 6 gennaio 2023

Carcere minorile Cesare Beccaria di Milano: una porta si apre, sta a voi scegliere se varcare quella soglia o se restare nella vostra comfort zone. I “buoni” di qua, i “cattivi” di là. Quel che accade dietro le sbarre dovrebbe interessare tutti.

I numeri parlano e ci raccontano dettagli sul mondo in cui viviamo. Non hanno la pretesa di esaurire il discorso, ma sarebbero un ottimo punto di partenza. 389 sono i minori detenuti negli istituti italiani, molti in attesa di condanna definitiva. Sono in numero eccedente rispetto alla capienza, che sarebbe di 375 posti, e questo è un problema del nostro sistema carcerario, la cui risoluzione, voglio dirlo subito, non è il ricorso all’edilizia carceraria, ma sono le pene alternative al carcere, è la scarcerazione. Il ricorso alla detenzione in carcere, per minori e maggiorenni, dovrebbe essere considerata solo l’ultima spiaggia. Da noi, invece, la privazione della libertà in carcere, nella stragrande maggioranza dei casi, è la prima e unica opzione.

L’edilizia carceraria può essere non una soluzione al sovraffollamento, ma una alternativa alla fatiscenza di moltissime strutture, che andrebbero dismesse a favore di altre più confortevoli. E già sento tuonare il rigurgito giustizialista: “Ma sì, certo, costruiamo hotel a 5 stelle per i delinquenti”. Ecco, a ragionare così, dopo anni di cultura della “pena certa” - ma quando mai la pena è incerta? Sarebbe interessante porre questa domanda ai giustizialisti e sarebbe interessante anche capire se hanno idea di cosa significhi “certezza della pena” dato che ne parlano continuamente - e con un governo che introduce inutilmente ulteriori reati - quale governo non lo fa? -, sono davvero in tanti. Eppure, nonostante siano la maggioranza, hanno preso la direzione più sbagliata possibile, se il fine è vivere in una comunità meno violenta e più sicura.

Una pena scontata in carcere non è garanzia di una società meno esposta al crimine, ma il suo esatto opposto. Spesso un’attitudine giustizialista è semplicemente (non riesco a dire “colpevolmente”) conseguenza di mancanza di informazioni e di riflessione. Le responsabilità, per me, sono di quegli organi di stampa che eludono sistematicamente qualsiasi discorso attorno alla pena, che lo abbandonano dopo che sono arrivate le condanne. Hai commesso un reato? Sei stato condannato? Ok, l’interesse della comunità si ferma davanti ai cancelli degli istituti penitenziari. Solo in pochi varcano quella soglia, che non è soltanto una soglia fisica, ma anche psicologica. Nella fotografia che ho scelto questa settimana, ecco il Beccaria di Milano: una porta si apre, sta a voi scegliere se varcare quella soglia o se restare nella vostra comfort zone. I “buoni” di qua, i “cattivi” di là. Però guardatela bene questa foto; nel gioco di luci e ombre c’è un simbolismo interessante. Da questa parte della soglia, al buio, ci siamo noi che decidiamo di osservare soltanto. Oltre le sbarre, la luce di una consapevolezza che ci serve, che è imprescindibile.

Quel che accade dietro le sbarre dovrebbe interessare tutti. Perché?, dite: perché chi commette un reato e paga per l’errore commesso, meno reca su di sé lo stigma della detenzione, più possibilità ha di trovare una strada diversa dalla precedente. La verità, e nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale potrà dire il contrario, è che le carceri - non solo in Italia, ma ovunque conservino una struttura repressiva - sono dannose. Non, banalmente, inutili: proprio dannose. Sono espressione di un autoritarismo fine a sé stesso, un simbolo di fallimento. Torno ai numeri. Ma davvero in un Paese di quasi 60 milioni di abitanti, il sistema è talmente inefficiente da non riuscire a garantire un percorso diverso dalla carcerazione per 389 tra ragazze e ragazzi?

Vi pare possibile non riuscire a convertire il carcere in una pena alternativa per un numero tanto esiguo di persone, per di più minori? Le carceri, ovunque, sono luoghi di immane sofferenza. E, nella sofferenza, nessuno è mai diventato migliore. Sono luoghi di sofferenza per chi sconta una pena, per chi è in attesa di giudizio, per chi vi lavora, sempre in affanno, sempre in gravissima carenza di organico. Psicologi e operatori oberati di lavoro devono fare una selezione tra disperati, scegliere di chi occuparsi e chi abbandonare a sé stesso. Il numero di suicidi quest’anno è stato un record. A togliersi la vita non sono solo detenuti, ma anche guardie carcerarie. Cos’altro serve per capire che in Italia il sistema carcerario non funziona, che è un totale fallimento e che va profondamente rivisto investendo risorse? Chiunque conosca davvero il carcere sa che non c’è più tempo da perdere.