sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giusi Fasano

Corriere della Sera, 16 giugno 2022

Ce lo chiediamo ogni volta. Che cosa non ha funzionato? Ce lo chiediamo soprattutto quando i numeri impongono attenzione: cinque donne uccise in quest’ultima settimana, per esempio. Dove stiamo sbagliando? E come se ne esce? L’ultimo report della Direzione centrale della polizia criminale dice che fra l’1 gennaio e il 12 giugno di quest’anno sono cadute per mano di un uomo violento 50 donne, di cui 43 in ambito familiare/affettivo. Ma fra il 12 e oggi all’elenco se ne sommano altre tre, quindi siamo a 53 vite spezzate, 46 da assassini che hanno a che fare con la famiglia o con le relazioni sentimentali. L’anno scorso erano 49 ma nessuno osa leggere quel -3 come un successo, perché anche un solo femminicidio è comunque troppo e poi perché sappiamo tutti che alla fine dell’anno - tirate le somme - lo scostamento rispetto agli anni passati non è mai decisivo, mai indicativo di un’inversione reale di tendenza. E dunque? Cosa si può fare più di quanto sia già stato fatto?

Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano è fra i più preparati magistrati italiani sul tema della violenza di genere. Si occupò per la prima volta di violenza domestica nel lontano 1991, da giovane pubblico ministero. Ogni tanto racconta di quell’imputato italiano che gli disse: “Signor giudice io non lo sapevo che picchiare la moglie fosse un reato!”. Non stava mentendo, quell’uomo. Aveva davvero la concezione proprietaria nei confronti della donna che aveva sposato: lei è mia e io ne faccio quello che voglio, compreso picchiarla se non fa cosa e come dico io. “Ecco. Io credo che ne usciremo quando faremo lo switch: ci serve lo scatto della maturazione culturale, il cambio di approccio, di mentalità. Abbiamo fatto passi avanti ma la strada è ancora lunga”, dice Roia. “Ci ho riflettuto” annuncia. “Mi sento di dire che oggi una donna che decide unilateralmente di abbandonare una relazione di coppia è in una potenziale situazione di pericolo di vita. Mi rendo conto che una frase del genere ha un effetto molto forte ma è una considerazione che va fatta con chi è vicino a quella donna in quel momento. Tutti: dalle amiche ai parenti, dall’avvocato al sistema giustizia. Le leggi ci sono, sono le competenze che vanno migliorate”.

Chiunque si occupi di violenza di genere sa bene che saper individuare e valutare le situazioni di rischio è oggi una delle priorità. Un’altra è occuparsi, finalmente in modo serio, degli uomini violenti, perché la non violenza passa (anche) per il loro recupero e la consapevolezza del disvalore dei loro comportamenti. E poi sarebbe urgente aiutare le donne a riconoscere la violenza che troppo spesso negano o sminuiscono. Senza puntare il dito contro di loro, come invece sembrerebbe fare la gran parte della popolazione del nostro Paese. Fu l’Istat nel 2019 (ultimo dato disponibile) a farci sapere che per oltre la metà degli italiani una donna che subisce violenza in qualche misura se l’è cercata. “Quel dato era impressionante” commenta Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare sul femminicidio. “Era l’espressione degli stereotipi, dei pregiudizi, della giustificazione dei violenti...Non siamo all’anno zero, è vero, ma purtroppo ci sono ancora resistenze al cambiamento”. Chi sbaglia? “Alla base di tutto c’è il tema della mancata adeguata valutazione del soggetto e della sua pericolosità sociale”, risponde. “Sbagliano tutti gli operatori del sistema giudiziario che non hanno formazione e specializzazione sufficiente. Ma la pericolosità sociale è il presupposto per le misure cautelari e una volta stabilite quelle io dico che usiamo ancora troppo poco il braccialetto elettronico anche se adesso li abbiamo”.

L’uso rafforzato del braccialetto elettronico e il fermo anche senza la flagranza di reato (nei casi di maltrattamenti, lesioni e stalking) sono due punti-chiave del pacchetto di norme antiviolenza voluto dalle ministre Marta Cartabia, Luciana Lamorgese ed Elena Bonetti, assieme alle colleghe Erika Stefani, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Quel disegno di legge adesso è in Commissione Giustizia. La ministra per le Pari Opportunità Bonetti dice che è “urgente” approvarlo “in via definitiva”, che è stato “voluto per dare una stretta antiviolenza” e che “oggi il testo attende l’esame del Senato, e so che i relatori Cucca e Unterberger stanno lavorando perché avvenga rapidamente”. Aggiunge che “lo dobbiamo a tutte le donne che sono a rischio della vita e ai loro figli. Ogni giorno di ritardo pesa sulle nostre coscienze e sulla nostra coscienza di Paese”.