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di Beppe Severgnini

Corriere della Sera, 20 novembre 2023

Ventidue anni, un bel sorriso, una laurea che non prenderà mai. Cosa proviamo dopo l’assassinio di Giulia? Rabbia, paura, frustrazione, stupore? Beh, non basta. Rabbia e paura sono comprensibili, perché queste tragedie continuano a succedere, e qualcuno continua a minimizzare. Quelli secondo cui “certe cose sono sempre accadute”, e “un femminicidio è un omicidio come un altro”. Quelli incapaci di pietà. Quelli per cui l’odio è diventato un’abitudine (pandemia, guerre, una giovane donna ammazzata in un parcheggio: tutto uguale). Leggere certi commenti sui social, in queste ore, spaventa.

Frustrazione? Certo, perché una soluzione non si trova. Cosa fare per impedire che certi maschi passino dall’ossessione alla sopraffazione? Il fenomeno è esteso, nessun luogo è immune, i confini (geografici, anagrafici, culturali, economici) non esistono. La piazza del Duomo di Crema, ieri, era una distesa di coperte a maglia e all’uncinetto, esposte dall’associazione Viva Vittoria per aiutare le Donne contro la Violenza. Nel cremasco vengono soccorse cento donne l’anno: e chissà quante altre hanno paura di denunciare.

Stupore perché nella cultura di massa resiste il concetto di amore criminale, discendente dell’infame delitto passionale. È una pericolosa sciocchezza: se è criminale, non è amore. Invece di giustificarli, anticipiamoli: i nuovi mostri lasciano indizi prima di uccidere. Controllo ossessivo; scatti violenti seguiti da pentimenti lacrimosi; pretese assurde, come quelle di controllare il telefono dell’altra persona. Anche questo faceva, Filippo Turetta.

Ricordo un caso simile, nel 2013: la borghesia veneta, il compagno insospettabile (?), l’appuntamento, il litigio, il coltello, l’auto, la fuga, l’arresto. Scrivevo, qui sul Corriere: “Noi maschi dovremmo occuparci di più del femminicidio: parlarne, scriverne, domandare, provare a capire. È invece un dramma confinato in un universo femminile: ne parlano e ne scrivono soprattutto le donne, le fotografie sono sempre delle vittime e raramente dei carnefici. È come se noi uomini volessimo prendere le distanze da qualcosa che non capiamo, e di cui abbiamo paura”. Mi domando cosa sia cambiato in dieci anni. La risposta, purtroppo, è facile: molto poco.