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di Paolo Di Stefano

Corriere della Sera, 19 novembre 2023

È proprio arrivato il momento di una grande mobilitazione dell’”orgoglio maschile”: non in difesa (tardiva) delle donne, ma contro la violenza dei maschi, contro i maschi violenti. Cari uomini, è arrivato il momento di interrogarsi, di battere un colpo, magari di muoversi. Persino di ribellarsi a noi stessi. Nella giornata del ritrovamento del corpo massacrato di Giulia Cecchettin, si viene a sapere dello stupro subìto da una donna in un ristorante del centro di Milano. Si viene a sapere anche che due ragazzine di 14 anni sono state drogate e violentate a Novara, e altro ancora. In Italia quest’anno sono state uccise cento donne, oltre la metà delle quali per mano di mariti, ex mariti, partner, ex partner, fidanzati, ex fidanzati. L’ex uccide perché il suo desiderio non viene soddisfatto. La rassegna stampa quotidiana è una lista interminabile di stupri, violenze maschili, femminicidi. Non succede solo in Italia, ovviamente. Non che la cosa ci debba consolare, anzi. Mal comune non è affatto mezzo gaudio, è mal comune e basta.

Certo, per noi il culmine è arrivato ieri. Se le cose sono andate come sembra, la vicenda di Giulia e di Filippo aggiunge angoscia e motivi di riflessione seria e profonda anche, ma non solo, sull’educazione familiare. Perché quel che impressiona ancora di più rispetto ad altri casi è la giovane età dell’assassino, che per altro i genitori descrivono come un ragazzo “mite, normale, positivo”, che “non ha mai torto un capello a nessuno…”: Filippo “ha sempre continuato ad amare Giulia”. Fatto sta che siamo ingenui se, connettendo la sopraffazione al retaggio della cultura patriarcale, diamo per scontato che comunque la modernità abbia migliorato, con il benessere, anche le relazioni tra i sessi. Tant’è vero che mentre il numero dei delitti va in generale diminuendo quello dei femminicidi aumenta.

Erroneamente, il nostro immaginario tende a inquadrare l’abuso sessuale nel contesto adulto, ma scopriamo sempre più che quell’eredità arcaica è ben viva e resistente oltre ogni, appunto, immaginazione. Proprio ieri il convegno milanese dell’associazione “Senza veli sulla lingua” ci ha informato che il maltrattamento delle donne interessa sempre più i minorenni: l’età si sta abbassando anche perché cresce la violenza digitale. Ci ritroviamo dunque increduli di fronte a un ventenne che sprigiona il suo furore contro una coetanea colpevole di averlo lasciato e magari in aggiunta (ulteriore affronto) di volersi laureare prima di lui. Non uomini d’altri tempi, ma uomini di questi tempi, dunque.

E poi. Inutile chiedersi come sia stato possibile non cogliere, in famiglia, nella comunicazione quotidiana di una famiglia “normale”, i segnali di tanta aggressività: tutti e sempre più scopriamo quanto ci sia indecifrabile la persona vicina (specie i figli, ahimé). Ma astraendosi dall’ultimo caso, bisognerebbe interrogarsi in profondità su come cresciamo i nostri figli (specie i maschi), con quali parole, modelli e valori. E come mai la violenza tra i sessi è sempre, fin dentro la Generazione Zeta, a senso unico (maschi su femmine)? Cominciando a sgombrare il campo dal tormentone del “raptus”, una specie di riflesso condizionato mentale che ci fa incasellare certe forme di brutalità dentro categorie tutto sommato rassicuranti. La confutazione si riassume in una semplice domanda: perché allora questi raptus presunti capiterebbero solo ai maschi? E le femmine non hanno anche loro tutto il diritto di andar fuori di testa? (E ciò sia detto non per auspicare che le donne prima o poi ripaghino i partner e gli ex con la stessa moneta).

Ma infine, senza colpevolizzare solo l’istituzione famigliare o quella scolastica, è una gigantesca questione che riguarda la società, anzi la cultura di una società. Prima di tutto, la cultura dei maschi. I quali non dovrebbero aspettare di essere chiamati a coorte dalle donne-vittime per solidarizzare, ma dovrebbero uscire spontaneamente dalla vergogna della zona grigia, muoversi - e in fretta - per iniziativa propria verso la pubblica piazza. Uscire (provvisoriamente) dalla solidarietà ed entrare nella lotta. È proprio arrivato il momento di una grande mobilitazione per l’”orgoglio maschile”: non in difesa (tardiva) delle donne stuprate, ma contro la violenza dei maschi, contro i maschi violenti.