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di Angelica Malvatani

Il Resto Del Carlino, 19 aprile 2024

Mai prima si era visto un Vescovo impegnato come parroco dietro le sbarre: “C’è sofferenza e bisogno di portare il Vangelo. Fuori certi riti sono diventati automatici, poco sentiti. Qui è diverso”. La parola che più torna nei discorsi di monsignor Armando Trasarti è dignità, è un pensiero fisso che si adatta a ogni persona che incontra. Per questo al vescovo di Fermo Rocco Pennacchio è parso giusto e naturale chiedergli di occuparsi dei detenuti del carcere della città, di diventarne il parroco, lui, un Vescovo emerito.

Mai prima si era visto un vescovo impegnato come parroco dietro le sbarre, in Italia non se ne vedono altri: “Me l’ha chiesto e io ho accettato, racconta Trasarti, quando ero vescovo alla diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola ero molto legato al carcere di quel territorio, una realtà dura, dove c’è anche la massima sicurezza. Avevo considerato il carcere alla pari di una parrocchia vera e organizzato così il servizio. Ecco, io là dentro ho trovato sempre una grande umanità, quando mi sono ammalato di Covid mi hanno scritto una lettera di auguri e vicinanza e l’hanno firmata 98 detenuti. Sono gesti che hanno un valore profondissimo”.

Don Armando, così si fa chiamare nel carcere di Fermo arriva tutti i venerdì e la domenica, per la messa, alle 9 in punto. Come si organizza un percorso così? “Facendo attenzione alla dignità. Se la messa è fissata la domenica alle 9 sarà sempre a quell’ora e ci sarà anche quando sto poco bene. Sono venuto anche col mal di denti, nelle parrocchie mica cambia l’orario della messa, in carcere è uguale altrimenti non si può costruire fiducia. Anche la messa di Pasqua col vescovo Pennacchio l’abbiamo vissuta di domenica, perché ne va della dignità delle persone”.

Confida che la messa di Natale più bella l’ha vissuta proprio in carcere, la cerimonia della lavanda dei piedi qui assume tutto un altro significato: “Certi riti fuori sono diventati automatici, poco sentiti. Qui è diverso, Gesù ha lavato i piedi ai traditori, a Giuda, qui c’è la sofferenza. E io ascolto, ho portato il coro per la messa, quando posso porto da mangiare, cerco di trovare risposte per le necessità più immediate. Mi piace esserci e quando arriva qualcuno che mi dice: ‘ho fatto una cavolata’, ecco, in quel momento mi sento utile e necessario. Parlo anche con chi ha una fede diversa, se hanno bisogno, sempre nel rispetto dei ruoli, dentro le regole, mettendo sempre al centro la dignità”.

Don Armando pensa anche al personale della struttura, non manca mai di informarsi su come stanno gli agenti di polizia penitenziaria: “La struttura è gestita da una direttrice giovanissima, Serena Stoico, e dalla comandante Loredana Napoli, persone per bene con cui mi trovo benissimo. Gli agenti sono loro stessi in carcere, il lavoro è delicatissimo e difficile, dobbiamo ricordarcelo sempre. Quando ero accanto al vescovo Gennaro Franceschetti non mancava mai di portare conforto e consolazione a chi lavora in divisa, sono persone importanti che si prendono cura di tutti noi”. Non vuole essere considerato un eroe il vescovo emerito, fa il suo dovere in uno dei luoghi più vivi e umani che conosca: “Qui ci si sente utili davvero, c’è bisogno di portare il Vangelo e il Signore ci arriva e ci parla direttamente, attraverso la sofferenza delle persone”.