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di Stefania Carnevale*


telestense.it, 4 aprile 2020

 

La notizia del primo detenuto - della Regione - deceduto per coronavirus in ospedale a Bologna, non arriva inattesa. Ad oggi, questo è il primo in Regione, ma un detenuto è morto a metà marzo nel carcere di Voghiera, mentre i contagi segnalati sono 21. Quello che preoccupa è il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane, che è l'esatto contrario del distanziamento sociale richiesto dai decreti del Governo per frenare il contagio per coronavirus.

A Ferrara ci sono 360 detenuti, con una media in questi ultimi tre anni che oscilla intorno ai 370, mancano le condizioni oggettive per attuare le misure di prevenzione, e il decreto Cura Italia non è in grado di assicurare in breve la sicurezza richiesta da tutti i Garanti dei detenuti, per tutti coloro che vivono in carcere, dai detenuti al personale di sorveglianza, medico, socio assistenziale. I detenuti vivono in due per cella, in circa 3 metri quadrati a testa, non hanno la possibilità nel caso di quarantena, di mettersi in isolamento, non possono fasi da mangiare, né hanno un credenzino medicinali, dove potersi approvvigionare da soli e i luoghi attrezzati a tutt'oggi per l'isolamento in carcere sono davvero pochi.

Non è vero, infatti, che in quanto luogo di isolamento il carcere garantisca dall'aggressione del virus, perché fra agenti di polizia e personale socio assistenziale almeno 200 persone entrano ed escono tutti i giorni. Sono tutti dotati di mascherine, ma sono anche le persone più esposte al contagio, come il personale sanitario.

Nell'unità mobile di pre-triage posta davanti al carcere, vengono controllati in entrata soltanto i nuovi ingressi in carcere, per arresti o trasferimenti e i detenuti che presentano sintomi sospetti. La società non può ignorare il problema, conclude Stefania Carnevale, perché l'esplosione del contagio in carcere avrebbe una gravissima ricaduta sulle strutture sanitarie e sul Paese intero.

La situazione è molto delicata, come sostiene da tempo Mauro Palma, garante nazionale, e le misure adottate dal decreto Cura Italia non soddisfano, perché lente e macchinose, a partire dalla necessità di dotare di braccialetti elettronici i detenuti, che con un residuo pena dai 6 ai 18 mesi, esclusi quelli per reati cosiddetti ostativi, possono essere ammessi alla domiciliazione, una sorta di arresti domiciliari di fine pena.

Dei 5.000 braccialetti previsti, ne sono disponibili 900, che verrebbero applicati in numero di 300 a settimana, 5.000 in circa 17 settimane, più di tre mesi, troppi per il coronavirus. Senza contare la difficoltà di accertarsi che il domicilio segnalato dai detenuti o individuato, per chi non ha casa, dai servizi sociali sia adeguato al provvedimento, che resta, comunque, una pena detentiva ed è soggetta ai controlli di polizia, oltre che al benestare di un giudice.

Beneficerà senza problemi solo chi deve espiare un residuo pena inferiore ai sei mesi e i minorenni, i quali dovranno poi sostenere un percorso rieducativo che sarà attivato, entro 30 giorni dal ritorno a casa, dai servizi sociali. Non potranno accedere ai domiciliari i colpevoli di atti violenti contro l'ordine democratico, contro la persona, contro i minori in particolar modo, di reati di corruzione e di associazione di stampo mafioso.

Elenco dei reati che escludono dalla domiciliazione: terrorismo, eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, peculato, corruzione,, scambio elettorale politico mafioso, riduzione o mantenimento in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, chi è colpevole di atti di violenza sessuale, sequestro di persona, maltrattamenti contro familiari e conviventi, stalking e per tutti i reati aggravati dalla matrice di stampo mafioso; i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; i sottoposti al regime di sorveglianza particolare; chi abbia avuto sanzione disciplinare per gravi infrazioni; i detenuti privi di domicilio effettivo e idoneo, anche per tutelare le persone offese.

 

*Garante dei diritti dei detenuti di Ferrara