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di Giovanni Iannucci

estense.com, 11 dicembre 2023

Presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara si è svolto un incontro relativo all’impegno delle università italiane per il diritto allo studio di detenute e detenuti. Un tema di grande importanza perché il diritto allo studio, come previsto dall’articolo 34 della Costituzione che tutela il diritto all’accesso agli studi superiori e universitari anche alle persone capaci e meritevoli ma prive di mezzi, deve essere inequivocabilmente rispettato e garantito.

Stefania Carnevale, delegata della rettrice ai rapporti istituzionali con l’amministrazione penitenziaria, ha introdotto l’argomento ponendo particolare attenzione al fatto che sia necessario eliminare gli ostacoli che si frappongono al diritto allo studio dei detenuti.

“La parola chiave - afferma la docente - è ‘persone prive di mezzi’, soprattutto per quanto riguarda il fattore economico, status quo in cui si ritrovano i detenuti e le detenute. In carcere è molto difficile lavorare e nella maggior parte dei casi si lavora poche ore al giorno per pochi giorni al mese dove una percentuale del guadagno molto basso viene trattenuta per il mantenimento spese. Stiamo parlando di persone ‘paralizzate’ per legge, in parte legittimamente e in parte illegittimamente, private di ogni forma di autonomia”.

Franco Prina, ordinario di Sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale presso l’Università di Torino Franco Prina e presidente della Conferenza nazionale dei delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari (Cnupp), ha spiegato che oggi sono 228 i dipartimenti coinvolti con 417 corsi di laurea e 1267 studenti iscritti alle triennali, 189 alle magistrali e 2 ai master/PhD. Tale iniziativa è stata istituita presso la Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui) il 9 aprile 2018 e rappresenta la formalizzazione del coordinamento dei responsabili di attività di formazione universitaria in carcere Prina ha ricordato l’articolo 3 della Costituzione che evidenzia l’obbligo della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà delle persone di concorrere al progresso della società.

“Noi abbiamo a che fare - spiega - con persone a cui la libertà è limitata o negata, ma questo non dovrebbe veder negati altri diritti come la salute, le relazioni, l’affettività, l’istruzione e il lavoro. L’abbiamo detto cosa vuol dire lavorare in carcere, salvo poche eccezioni. Se esiste un diritto significa che da un’altra parte esiste un dovere. Un diritto si pretende, si esige.

Come dice l’articolo 27 la pena deve portare alla rieducazione del condannato, non a dire buttate via la chiave”. “Le cerimonie di laurea - aggiunge il docente - sono un momento molto emozionante e toccante, nella maggior parte dei casi svolte interamente in carcere con la Commissione e il Relatore, dove finita la discussione facciamo una piccola festa con eventualmente le famiglie e gli amici”.

“La situazione carceraria italiana - concludono i due professori - è al centro di dibattiti e spesso anche delle cronache per il sovraffollamento e l’alto numero di suicidi. La possibilità di svolgere studi universitari può portare il detenuto/a ad una maggiore consapevolezza e, successivamente, ad un eventuale ‘reintegro’ all’interno della società”.