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di Giovanni De Mauro

L’Essenziale, 5 marzo 2022

Si va verso la riforma dell’ergastolo ostativo ma non mancano le polemiche Il cosiddetto ergastolo ostativo è un particolare regime carcerario, previsto dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che nega a chi sconta la pena la possibilità di ottenere benefici come il lavoro esterno, i permessi premio o la liberazione anticipata.

È definito ostativo proprio perché osta, cioè impedisce, miglioramenti della posizione carceraria e viene previsto per chi è stato condannato per delitti particolarmente gravi, in particolare di mafia e terrorismo.

La sua riforma, approvata in commissione giustizia alla camera il 24 febbraio scorso anche con i voti del partito d’opposizione Fratelli d’Italia, sembrava avere la strada spianata. Le polemiche di questi giorni tra governo e partiti sulla nomina del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) rischiano però di rendere tutto più difficile.

Oggi in Italia ci sono 1.259 detenuti che stanno scontando un ergastolo ostativo. Per questi detenuti esiste una presunzione assoluta di pericolosità sociale - e dunque non è possibile per loro dimostrare il contrario - e l’unico modo che hanno di accedere a misure alternative al carcere è la collaborazione con la giustizia, diventando quindi pentiti.

Il divieto automatico è stato introdotto nel 1992, durante gli anni delle stragi di mafia. Fu un’idea di Giovanni Falcone per contrastare la criminalità organizzata quando era a capo della sezione affari penali del ministero della giustizia. Il senso della norma è subordinare la speranza di poter ottenere un miglioramento delle condizioni carcerarie alla scelta di collaborare con lo stato.

I critici di questo regime, però, hanno osservato che chi ha fatto parte di strutture di tipo mafioso spesso rifiuta di collaborare con le autorità per la paura che i suoi familiari possano diventare il bersaglio delle ritorsioni dell’organizzazione criminale.

La corte costituzionale, con una ordinanza dell’aprile 2021, ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo, perché “facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della costituzione e con l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Secondo i giudici, dunque, la norma contrasta con il principio di uguaglianza e con quello della funzione riabilitativa della pena. La corte ha quindi chiesto al parlamento di scrivere una legge che riformi l’istituto, eliminando l’automatismo tra collaborazione e beneficio carcerario per alcune categorie di detenuti. La pronuncia è stata molto contestata, in particolare dal Movimento 5 stelle, da Fratelli d’Italia e dalla Lega.

La commissione giustizia della camera ha elaborato una proposta di legge che modifica l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, eliminando il divieto automatico ai benefici carcerari per chi non collabora con la giustizia, e stabilendo che a decidere sia il collegio del tribunale di sorveglianza. I giudici dovranno valutare caso per caso la condotta del detenuto, il suo percorso in carcere, l’assoluto allontanamento dalla realtà criminale di cui faceva parte, il risarcimento alle vittime e il parere della direzione nazionale antimafia.

In sostanza il detenuto dovrà dimostrare che, anche senza aver collaborato con la giustizia, ha imboccato un percorso riabilitativo e in che modo questo si sta concretamente svolgendo. Si tratta di regole molto stringenti, che secondo le voci più critiche, renderebbero quasi impossibile ottenere benefici.

Il testo del progetto di legge, che nasce da tre distinte proposte, ha ottenuto il via libera in commissione e la nomina del relatore - il presidente della commissione giustizia alla camera, Mario Perantoni - con il voto favorevole anche di Fratelli d’Italia. Il testo arriverà in aula alla camera l’8 marzo e dovrebbe avere un iter di approvazione rapido, vista la convergenza politica.

A guastare l’equilibrio, però, è intervenuto un contrasto tra i partiti e il ministero della giustizia. La ministra Marta Cartabia, infatti, ha indicato come nuovo capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il consigliere di cassazione Carlo Renoldi.

La scelta del magistrato, ex giudice di sorveglianza di Cagliari e vicino al gruppo associativo progressista Magistratura democratica, è stata attaccata pesantemente da Lega, Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e dai sindacati di polizia penitenziaria. Una delle ragioni della contestazione è che Renoldi, durante un convegno del 2020 aveva parlato di “carcere dei diritti” e si era detto favorevole a un ripensamento dell’ergastolo ostativo. Nella stessa occasione, aveva anche parlato di “antimafia militante arroccata nel culto dei martiri”.

Dopo le polemiche, Renoldi ha indirizzato una lettera a Cartabia in cui ha spiegato le sue parole, dicendo di non “sottovalutare la gravità del dramma della mafia” né di aver “mai messo in dubbio la necessità dell’istituto del 41 bis”, ovvero lo speciale regime di detenzione previsto per i mafiosi. Però, ha aggiunto, la piaga della mafia non può far dimenticare che negli istituti di pena “la stragrande maggioranza è composta da altri detenuti. A cui vanno garantite carceri dignitose, come ci ha ricordato il capo dello stato”.

Le precisazioni non sono bastate a calmare la polemica e a far rientrare la richiesta dei partiti di ripensare la nomina. Dal ministero della giustizia, però, non c’è stato nessun passo indietro: la nomina a capo del Dap, infatti, è fiduciaria del ministro anche se va ratificata dal consiglio dei ministri. Lo scontro potrebbe avere contraccolpi politici proprio sulla riforma dell’ergastolo ostativo che pure è arrivata in aula con una sostanziale unanimità.