di Giulia Belardelli
huffingtonpost.it, 27 gennaio 2023
Esercitarsi in previsioni sul conflitto in Ucraina si è rivelata spesso una pratica fallace. Per questo le rassicurazioni di Biden o Scholz lasciano il tempo che trovano: l’Occidente deve porsi il tema delle ulteriori possibili forme di coinvolgimento e del grigio che può esserci fra una vittoria e una sconfitta. Bertolotti (Start Insight): “Le guerre sono imprevedibili, l’Afghanistan insegna”.
Se il Magnifico insegnava che non ci può essere certezza del domani, dopo undici mesi di previsioni spesso smentite e travolte dagli eventi chi può onestamente mettere la mano sul fuoco che l’Occidente non sarà costretto presto a un ulteriore coinvolgimento nella guerra fra Russia e Ucraina? Con il sì all’invio dei carri armati più avanzati tra quelli impiegabili in battaglia, l’Occidente ha di fatto superato, seppur con riluttanza, una linea rossa che aveva tracciato mesi fa, quando il discorso era esteso tanto agli aerei da guerra quanto ai mezzi corazzati. Un procedimento analogo ha accompagnato il via libera alla fornitura di altri sistemi d’arma, dai lanciarazzi multipli Himars al sistema missilistico Patriot. Per quanto simbolico, il superamento di quest’ultima soglia (l’invio di carri armati Leopard 2, Abrams e Challenger 2) solleva l’interrogativo di se, come e quando avverrà il prossimo step (quantitativo e/o qualitativo), materializzando una realtà evidentemente scomoda da ammettere: data la dipendenza ucraina dalle forniture militari occidentali, e date le capacità di combattimento ancora in possesso di una Russia che vuole mantenere e ampliare le sue conquiste, l’Occidente non ha altra scelta che continuare ad armare Kiev sperando di logorare Mosca quanto basta, oppure arrendersi all’idea che la Russia si tenga le sue conquiste (ad oggi circa il 18% del territorio ucraino) usandole come trampolino di lancio per un’eventuale terza guerra d’Ucraina. È un bivio reso ancora più spietato dalla volontà di Mosca di andare avanti whatever it takes, in termini di costi politici, economici e soprattutto umani. Ed è un bivio che, malgrado le rassicurazioni di Joe Biden o di Olaf Scholz sul fatto che l’Occidente non sta entrando in guerra, costringe a prendere consapevolezza che nessuno, oggi, può sapere come evolveranno gli eventi.
Secondo Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight e associate research fellow di Ispi, la svolta dei carri armati è “solo simbolica, ma apre a un’ipotesi di ulteriore maggiore coinvolgimento: servirebbero centinaia di carri armati per garantire all’Ucraina di poter vincere, numeri che ovviamente, per ora, rimangono nella lista dei desideri di Zelensky”. Per Dan Sabbagh, editor specializzato in Difesa e sicurezza del Guardian, “la fornitura di diverse decine di carri armati è un significativo passo in avanti, ma potrebbe non essere militarmente decisivo”: entro poche settimane, l’Occidente potrebbe dover prendere in considerazione di testare la propria unità su un’altra decisione sulle forniture militari all’Ucraina, come l’invio di caccia F-16 (una delle richieste del governo ucraino, assieme a F35, Eurofighter, Tornados e navi da guerra).
Il punto è che è molto difficile, oggi, prevedere quali saranno i prossimi step, considerando che quasi tutte le previsioni fatte finora sono state smentite. Il primo ad aver sbagliato tutti i suoi calcoli, va da sé, è Vladimir Putin: convinto di fare un Blitzkrieg, si è ritrovato impantanato in una guerra molto più grande di lui. All’inizio era stato previsto che l’Ucraina si sarebbe schiantata in breve tempo sotto il peso dell’invasore russo; poi era stato previsto che la Russia avrebbe pagato in fretta il prezzo del proprio azzardo, con un tracollo economico e politico che invece ancora non c’è stato. “Le stime che erano state fatte (un calo del 10% del Pil russo quest’anno) non si sono avverate”, osserva Ettore Greco, direttore di Istituto Affari Internazionali. “C’era la scommessa che la Russia potesse entrare abbastanza rapidamente in una situazione di collasso: così non è stato, essenzialmente perché ha continuato a beneficiare di grosse entrate dalla vendita di prodotti energetici. Se i prezzi rimarranno a questo livello e scenderanno ulteriormente, potrebbero esserci riflessi significativi in Russia, ma non c’è dubbio che i calcoli occidentali fossero sbagliati”.
Sconfiggere Putin si sta rivelando più difficile di quanto molti in Occidente avevano sperato. “Quello che sappiamo è che la Russia gioca principalmente sul tavolo delle quantità: non si fa problemi a subire tantissime perdite di uomini e di mezzi, pur di trattenere del territorio o avanzare”, commenta Andrea Gilli, senior researcher al Nato Defense College.
Per Bertolotti, l’accento va messo sull’aspetto comunicativo, dunque sulla percezione di un tracollo russo, più che sulle previsioni errate. “C’è stata una corrente che ha sposato i report fatti uscire dall’intelligence britannica, che però avevano un chiaro scopo: quello di convincere l’opinione pubblica (ad esempio, quando si parlava delle malattie di Putin o di un imminente colpo di Stato). Si voleva decostruire, da un punto di vista comunicativo, la figura del leader russo, anche nei confronti dell’opinione pubblica russa che ha accesso a quelle informazioni sul web. La comunicazione è uno strumento di guerra per tutti: lo utilizzano i russi, lo utilizzano benissimo i britannici e gli statunitensi, mentre noi non siamo ancora ben strutturati in questo”.
“La Russia (lo dicevo esattamente 11 mesi fa) aveva la capacità di sostenere una guerra da un punto di vista logistico e dei rifornimenti per un anno”, prosegue l’analista. “Nei magazzini c’erano i ricambi per una guerra di un anno. Il problema comincerà a porsi a partire da febbraio in avanti, quanto le scorte convenzionali inizieranno a venire meno e si dovrà dare fondo a quelle che invece sono le riserve strategiche, a meno che non intervengano altri elementi a supporto della Russia, come la collaborazione di altri Paesi che potrebbero contribuire (ad esempio con scambi aerei contro carri armati, aerei contro sistemi anti-missili, e così via) a ripristinare quello che serve a Mosca”.
Piaccia o meno, l’imprevedibilità di questi fattori - unita alla possibilità che Mosca possa ottenere più sostegno (diretto o indiretto) da parte di attori esterni, a cominciare dalla Cina - rende aleatoria qualsiasi previsione su fino a dove dovrà spingersi l’Occidente per fare in modo che gli ucraini non perdano una guerra che ormai lo riguarda direttamente, visti gli sforzi fatti finora e la posta in gioco per la tenuta dell’ordine liberale internazionale.
“Ad oggi diciamo che no, i jet non arriveranno in Ucraina”, commenta ancora Bertolotti, ma “nella pratica, dobbiamo partire da quello che è l’obiettivo, una questione di cui si parla sempre troppo poco. Qual è l’obiettivo dell’impegno della comunità internazionale in Ucraina? È logorare la Russia, non sconfiggerla imponendo una batosta militare umiliante (e anche deleteria per la stessa tenuta delle istituzioni russe), ma indebolirla progressivamente. L’obiettivo è questo non tanto perché la Russia sia una minaccia (cosa che comunque è, almeno per i Paesi del fianco est della Nato) ma perché la Russia è un alleato della Cina, che è il vero competitor degli Stati Uniti e risente dell’indebolimento di un suo partner, trovandosi meno forte in quello che sarà il confronto di domani”.
La Cina non ha ancora detto mezza parola sulle forniture di tank occidentali all’Ucraina. Intelligentemente, si tiene fuori dal dibattito: Pechino si esprime solo per opportunità o per necessità, e qui mancano entrambe. Al contrario, le cancellerie occidentali si affrettano a sottolineare che l’invio di tank non significa un coinvolgimento diretto nella guerra contro la Russia, malgrado la svista della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock (“noi combattiamo in una guerra contro la Russia e non fra noi”, ha dichiarato, fornendo un assist alla propaganda russa ma allo stesso tempo mostrando la scivolosità della questione).
Oggi nessuno può escludere che si debba andare oltre rispetto alla linea rossa di un tot di carri armati. Tanto per cominciare, nessuno ha detto che saranno gli ultimi. Su questo Bertolotti è categorico: “Se i numeri sono quelli attuali, prevedo che nei prossimi mesi non cambierà nulla sul fronte, se non un lavaggio di coscienza da parte delle cancellerie occidentali, che potranno dire: noi lo abbiamo fatto. La sostanza, però, andrà pesata in tonnellate di carri armati che verranno effettivamente dati”.
Il motivo per cui è così difficile prevedere come evolverà la guerra - malgrado le rassicurazioni di Biden, Scholz o Macron - è intrinseco nella natura stessa della guerra. La guerra va così: se la combatti, è perché vuoi vincere o quanto meno uscirne bene; se l’altro vuole andare avanti a oltranza, non puoi che andare avanti anche tu, altrimenti è una sconfitta. “Le guerre sono imprevedibili”, conclude l’esperto Ispi. “Nessuno è certo dell’esito di una guerra. O meglio, partono tutti certi di un esito che poi, nella maggior parte dei casi, viene smentito. L’Afghanistan, l’Iraq, il coinvolgimento nella guerra dei Balcani, la Cecenia per la Russia, l’Afghanistan per i sovietici prima ancora... sono tutte guerre andate diversamente rispetto ai piani sui quali si erano basati i politici per prendere le decisioni. Ad oggi, è molto difficile dire cosa succederà. Il rischio di escalation e coinvolgimento progressivo, ovviamente, c’è e nessuno lo può negare, neanche il governo di turno che dice: ci limiteremo all’invio di questi equipaggiamenti. La realtà è che non è vero perché è impossibile fare valutazioni sul futuro”.