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di Filomena Gallo e Marco Perduca*

La Stampa, 8 novembre 2023

Scriviamo con le lacrime agli occhi. Sibilla Barbieri, che il 31 ottobre è morta in una clinica in Svizzera, era un’amica e una compagna che condivideva con noi la convinzione che facendo vivere la nostra Costituzione, o disobbedendo a leggi ingiuste, le persone possono incidere nelle decisioni che le riguardano. Sibilla era malata terminale e all’inizio di agosto aveva chiesto alla sua Asl di poter ottenere una morte medicalmente assistita a Roma. La salute di una persona in quelle condizioni è estremamente instabile, si deteriora pressoché quotidianamente, in poco tempo infatti i sostegni vitali le sono divenuti necessari. Eppure le è stato risposto negativamente - e solo a seguito di una diffida.

A quel diniego è stata fatta un’opposizione nel momento in cui Sibilla ormai respirava talmente a fatica da dover utilizzare l’ossigeno. Nessuna reazione. Se nell’attesa della decisione della Asl Sibilla fosse diventata incapace di intendere e volere non avrebbe potuto ottenere ciò che chiedeva in Italia né avrebbe potuto andare in Svizzera. Pur ormai in sedia a rotelle e con una bombola al suo fianco, Sibilla ha deciso di volare a Zurigo accompagnata dal figlio Vittorio e da Marco Perduca, membro dell’associazione Soccorso Civile, per morire come aveva scelto. Il caso di Sibilla Barbieri non è unico perché per la prima volta è stata accompagnata una persona che conoscevamo bene. È unico perché, e l’abbiamo saputo solo tre giorni dopo la sua morte, il comitato etico cui era stata sottoposta la sua situazione aveva dato un parere positivo. Incurante di questo favore, la Asl ha ritenuto di dover incaricare un’altra commissione, questa volta aziendale, per esaminare il suo caso; il lavoro degli esperti ha concluso che Barbieri non aveva i criteri richiesti dalla sentenza della Corte Costituzionale Cappato - Antoniani (numero 242 del 2019): non aveva un trattamento di sostegno vitale né sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili.

Il trattamento inumano e degradante subito da Sibilla Barbieri a seguito di queste decisioni in aperto contrasto con quanto previsto dalla sentenza 242 del 2019 e la violenza cui le istituzioni hanno sottoposto il figlio che l’ha accompagnata, la figlia, la madre e la sorella che le sono state vicino nelle sue ultime ore, aprono un nuovo fronte per chi si impegna nell’affermazione delle volontà personali nelle fasi finali della vita. Il 7 novembre il figlio Vittorio, Marco Perduca e Marco Cappato, in quanto legale rappresentante dell’associazione Soccorso Civile, si sono autodenunciati per l’aiuto che hanno fornito al viaggio in Svizzera di Sibilla, mentre la famiglia ha denunciato la Asl Roma 1 per il suo comportamento. Adesso andranno individuate le responsabilità tecniche e politiche di questo diniego crudele.

Tre sentenze della Consulta (2018, 2019 e 2020) e la dichiarazione di inammissibilità del referendum sull’eutanasia legale hanno invitato il Parlamento ad adottare norme a tutela delle scelte delle persone alla fine della vita, appelli caduti sistematicamente nel vuoto o interpretati in maniera molto restrittiva rispetto a quanto conquistato dalla disobbedienza di Marco Cappato e DJ Fabo del 2017. La notizia dell’ultimo viaggio di Sibilla è coincisa con la decisione del Governo di concedere la cittadinanza italiana a una bambina inglese affetta da una malattia incurabile. Anche la malattia di Sibilla era incurabile. I genitori della piccola hanno visto le loro preghiere esaudite da un Consiglio dei Ministri che in otto minuti ha deciso. Altrettanti ne sarebbero bastati per rispettare la volontà di Sibilla Barbieri. Quanti altri viaggi saranno necessari perché ciò accada?

*Associazione Luca Coscioni