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di Stefano Cappellini

La Repubblica, 3 giugno 2023

La differenza tra il diritto a rifarsi una vita e il dovere di non oltraggiare chi non ce l’ha più. All’inizio di questo secolo, ormai esaurita la carriera politica, l’ex numero due del Partito socialista italiano Claudio Martelli provò a fare il conduttore tv sui canali Mediaset. Non ricordo come si chiamasse il programma dove fu sua ospite Francesca Mambro, ex terrorista nera dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, condannata a svariati ergastoli insieme al marito Valerio Fioravanti per molti omicidi e anche per la strage alla stazione di Bologna dell’agosto 1980, 85 morti, né ha molta importanza.

Per sciagurata scelta degli autori del programma, quella di Martelli a Mambro non fu una intervista classica. La scenografia contemplava un orologio e le domande erano a tempo, insomma Martelli chiedeva a Mambro di velocizzare le risposte per spettacolarizzare e dare ritmo. Ricordo come fosse stamattina che in quel momento un brivido mi attraversò la mente: pensa se in questo momento è davanti alla tv un figlio di Francesco Evangelista detto Serpico, il poliziotto che i Nar di Mambro ammazzarono a freddo davanti al liceo Giulio Cesare di Roma; pensa se sono davanti alla tv le vedove, le sorelle, i fratelli o i figli di Francesco Straullu e Ciriaco Di Roma, i poliziotti che i Nar trucidarono sotto il ponte della ferrovia Roma-Lido a Casal Bernocchi; pensa se è davanti alla tv la mamma o il papà di Alessandro Caravillani, il diciassettenne morto per un proiettile vagante durante un tentativo di rapina di Nar; pensa se sono davanti alla tv i parenti o gli amici delle vittime della strage di Bologna - e per la statistica dovevano essercene parecchi sintonizzati in quel momento. La responsabile di quelle morti era lì in tv, ospite d’onore, a spiegare la sua verità, e non come i brigatisti in La notte della Repubblica intervistati da Sergio Zavoli, uno dei programmi più belli (e sobri) della storia della tv, ma per fare un po’ di show. Forza Mambro, il tempo scorre, risponda, tempo scaduto, ora un po’ di pubblicità e poi di nuovo qui con Mambro.

Mi vergognai per Martelli, che non aveva avuto la lucidità di capire a quale format stava prestando la sua intelligenza, mi vergognai per Mambro, che ovviamente a parole diceva cose molto civili sulla sua redenzione e sul rifiuto della violenza politica, ma evidentemente non era in grado di rendersi conto quale affronto fosse per tutti, non solo per quei parenti, vederla lì, con un conduttore che la incalzava sui tempi, gli stacchi, gli effetti sonori, lo spettacolo indecente di una assassina e stragista - categorie davanti alle quali non si può mai mettere la parola “ex” come davanti a terrorista - che si presta con civetteria appena dissimulata dalla contrizione a un’intervista mezzo seria mezzo giochi senza frontiere.

Mi è tornato in mente questo episodio di incontinenza per via delle polemiche seguite alla pubblicazione l’altro ieri di un pezzo di Valerio Fioravanti sull’Unità da poco tornata in edicola. La cosa ha suscitato una certa indignazione, nonostante anche in questo caso il contenuto dell’articolo di Fioravanti fosse civilissimo (gli abusi nella prigione di Guantánamo). C’è anche chi ha difeso la scelta del giornale, invocando il diritto di ogni cittadino alla rieducazione, come previsto dalla Costituzione.

Da moltissimi anni, come è noto, Mambro e Fioravanti lavorano con l’associazione Nessuno tocchi Caino, che si batte per lo Stato di diritto e contro la pena di morte. D’altra parte, i più si sono lamentati che sul giornale fondato da Antonio Gramsci abbia potuto scrivere Fioravanti. Non sono convinto che Gramsci si risentirebbe per Fioravanti più di quanto potrebbe risentirsi per essere finito a fare il testimonial di Piero Sansonetti nella campagna pubblicitaria che ha preceduto il ritorno del quotidiano in edicola. Il cuore della faccenda non mi pare Gramsci né il vilipendio, o presunto tale, del logo dell’Unità, già abbastanza stropicciato prima della riesumazione. La questione mi sembra più generale e non riguardante solo i custodi della memoria dell’Unità che fu.

Umberto Eco scrisse un articolo contro la pena di morte perfetto per spiegare la differenza tra spazio pubblico e spazio privato nelle questioni di giustizia. Se io fossi il padre di una bambina uccisa, spiegò Eco, il suo assassino vorrei farlo a pezzettini con le mie mani, torturarlo, fargli fare la fine più atroce. Dunque è giusta la pena di morte? No, rispondeva Eco, perché lo Stato non può e non deve ragionare come la vittima ed è giusto che, nonostante la comprensibile pulsione di un padre alla vendetta, la sua risposta sia diversa da quella di chi ha subito personalmente il crimine. Anche nel caso di Mambro e Fioravanti, e non solo nel loro ovviamente, c’è una rilevante differenza tra spazio pubblico e privato, anche se in un senso diverso da quello citato da Eco.

Se è vero che il fine della pena è per la nostra Carta la restituzione di un cittadino alla comunità, è vero anche che il cittadino reinserito dovrebbe comprendere che scrivere su un giornale o comparire in tv non sono parte di quel diritto. Intendiamoci, non significa che debba essere vietato, solo che non c’è nessuna lesione costituzionale se si chiede a degli assassini di compiere la loro riabilitazione senza farne uno sfoggio pubblico che rischia di oltraggiare chi, a differenza loro, non ha possibilità di sconti di pena: i parenti delle vittime.

Per giunta, ma questa è un’opinione personale, Mambro e Fioravanti hanno sempre dato della loro storia criminale una versione molto apologetica, e non parlo dei proclami di innocenza su Bologna ma anche dei reati per i quali hanno ammesso la colpevolezza: si sono sempre dipinti come giovani ingenui rivoluzionari che combattevano contro tutto e tutti, idealisti senza macchia. Ricostruzioni risibili. Un altro sconto di pena, a volerla dire tutta.

Ma non solo, perché l’edulcorazione dei propri delitti è un prerequisito fondamentale per arrogarsi il diritto di riprendere la parola in pubblico: aiuta a travestire la colpa e a rivestirla da parabola di redenzione.

Per la giustizia italiana e per lo Stato di diritto Mambro e Fioravanti hanno diritto di rifarsi una vita, di lavorare, avere una famiglia, andare in vacanza, militare nelle migliori associazioni. È giusto così, anche se decine di persone che aspiravano a fare altrettanto non possono più farlo per colpa loro. Ma Beccaria non si rivolterà nella tomba, non più di Gramsci, se non compariranno articoli di Fioravanti o interviste a Mambro sulla stampa nazionale. Essendo entrambi liberi cittadini pur avendo ammazzato molto, Beccaria è già contento così.