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di Jacopo Storni

Corriere Fiorentino, 2 giugno 2022

Il voto alla Camera riapre il caso Icam, dal 2010 sempre annunciato e mai realizzato. La Camera dà il primo via libera alla proposta di legge sulle case per le detenute madri, per non avere più bambini che crescono dietro le sbarre. Nel 2010 Firenze si era candidata a fare da apripista, ma agli annunci non sono mai seguiti i lavori. E adesso quel progetto secondo il garante dei detenuti è già vecchio.

Mai più bambini in carcere. La Camera dà il primo sì alla proposta di legge che punta a promuovere il modello delle case famiglia per le detenute madri affinché i loro figli possano crescere lontano dalle sbarre. Adesso la legge andrà in Senato. Una buona notizia anche per il carcere di Sollicciano, dove attualmente non ci sono bambini ma dove ciclicamente si trovano a vivere i figli di alcune detenute. Firenze si era candidata a fare da apripista sulle case per la madri detenute, con un protocollo firmato a gennaio 2010 da ministero della Giustizia, Regione (che stanziò 400 mila euro, poi diventati 700 mila), il tribunale di Sorveglianza, l’Istituto degli Innocenti e la Madonnina del Grappa, che aveva messo a disposizione una palazzina in via Fanfani. Dodici anni dopo, però, dell’Istituto a custodia attenuata per detenute madri, acronimo Icam, nemmeno l’ombra.

La palazzina di via Fanfani che dovrebbe ospitarlo affonda nel degrado. E alcuni bambini hanno continuano a crescere a Sollicciano. Eppure, la realizzazione dell’Icam è stata più volte annunciata e rivendicata dalla politica. Nel 2013 fu l’allora ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, in visita al penitenziario di Sollicciano, a garantire che entro un anno la struttura per le detenute madri sarebbe stata inaugurata. “L’Icam è ormai in fase di realizzazione”. Parole d’orgoglio arrivarono anche dall’allora sindaco Matteo Renzi: “Noi siamo stati i primi in Italia ad aver fatto l’Icam”. Nel 2020 fu un altro ministro della giustizia, questa volta Alfonso Bonafede, a dire: “L’obiettivo principale resta la realizzazione degli Icam su tutto il territorio nazionale, quindi anche a Firenze”.

Tra i tanti cavilli che hanno bloccato l’inizio dei lavori, sembra esserci stato quello di un errore tecnico nella gara d’appalto, che si è dovuta ripetere. Responsabile dei lavori è la Società della Salute. “Entro giugno - dice adesso Sara Funaro, assessora alle politiche sociali del Comune di Firenze e presidente della Società della Salute - sarà fatta la progettazione esecutiva della ristrutturazione, durante l’estate verrà fatta la gara d’appalto ed entro settembre partiranno i lavori”, che dovrebbero concludersi entro il 2024. E poi: “Bene l’approvazione della proposta di legge alla Camera, i bambini devono crescere fuori dal carcere”.

Ad esprimere soddisfazione per il sì alla legge e per la prospettiva dell’inizio dei lavori è don Vicenzo Russo, presidente della Madonnina del Grappa e cappellano del penitenziario fiorentino: “Finora avevamo concesso la nostra palazzina a Rifredi per un progetto umanitario che non si è mai concretizzato. Adesso speriamo fortemente che questa struttura possa vedere finalmente la luce perché è una vergogna far crescere i bambini in carcere, e il fatto che anche il Parlamento si sia espresso su questo è un passo politico e umanitario importante da cui trarre conseguenze anche sui territori”.

Ma c’è un’altra novità che potrebbe rimescolare le carte e mettere in discussione la nascita dell’Istituto a custodia attenuata per detenute madri. Su impulso del ministero della Giustizia, la Regione Toscana sta attivando alcuni posti per detenute madri con bambini all’interno di case famiglia già esistenti che accolgono madri in difficoltà socioeconomica.

Un’idea condivisa anche dal garante dei detenuti di Firenze Eros Cruccolini: “Quella dell’Icam è un’idea superata perché le detenute madri devono essere inserite in case famiglie già esistenti, soltanto così si crea una vera inclusione, sarebbe importante riconvertire le risorse che originariamente erano destinati all’Icam nell’accoglienza nelle case famiglia già attive, oltre ad essere un progetto più inclusivo sarebbe anche meno dispendioso”.