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di David Alleganti

La Nazione, 19 aprile 2024

Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza: a Sollicciano impossibile eseguire una pena adeguata “La struttura è il paradigma dei penitenziari italiani. Bisogna valorizzare subito soluzioni alternative”. “Le condizioni del carcere di Firenze, Sollicciano, sono di estremo degrado. È una situazione intollerabile. Le condizioni igieniche e strutturali non garantiscono quel minimo grado di civiltà necessario per far eseguire una pena degna ai detenuti”, dice Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze. Un magistrato attento alla questione carceraria, autore insieme a Edoardo Vigna, di “Vendetta pubblica” (Laterza).

Sollicciano come paradigma di ciò che non funziona nelle carceri italiane. Va chiuso?

“Da molti anni sono in corso dei lavori di rifacimento per risolvere i problemi più gravi che attengono sia alle infiltrazioni d’acqua, sia all’infestazione di insetti e cimici. Molti progetti sono stati fatti. Non so se si possa pensare di tornare indietro, perché soldi sono già stati spesi per il rifacimento di questo istituto. Chiuderlo così, di punto in bianco, è difficile e anche diseconomico. Si può però ridurre drasticamente il numero dei detenuti con degli idonei trasferimenti, in modo che una condizione di minor sovraffollamento consenta di chiudere alcune sezioni per sottoporle a interventi straordinari di manutenzione efficace e tenere provvisoriamente i detenuti nei reparti più adeguati. Bisogna prendere delle decisioni e in maniera urgente”.

Nelle sovraffollate e fatiscenti carceri italiane i suicidi continuano. Nel 2024 sono già 31. Il record è del 2022 con 84. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio propone di realizzare nuove carceri, utilizzando caserme dismesse. Ma non è come lasciare libero il gas in una stanza?

“Anzitutto, bisognerebbe cominciare con la manutenzione degli edifici esistenti, prima di pensare a costruire nuovi istituti o riadattare caserme abbandonate. Una proposta più volte annunciata, peraltro, ma non abbiamo finora visto dei concreti passi in avanti. Il problema non è solo edilizio. Ben vengano nuove strutture purché adeguate. Nel contempo bisogna assumere nuovi educatori, psicologi, direttori, polizia penitenziaria. A prescindere da questo, però, trovo la metafora del gas calzante. Se abbiamo un secchio d’acqua che trabocca e aumentiamo la capacità del secchio, piano piano si riempirà di nuovo. Io credo invece che si debba cominciare a pensare a stringere il rubinetto, quindi a ridurre il flusso di entrata”.

Fuor di metafora?

“Dovremmo cominciare a pensare a pene alternative al carcere. Non si può sempre pensare che l’unica risposta a un dramma sociale, a un delitto, a un evento traumatico, debba essere l’inflizione della pena detentiva. Perché le pene sostitutive si sono dimostrate, laddove sono utilizzate, nei Paesi stranieri, efficaci tanto quanto, se non molto di più, di una semplice pena detentiva. Il carcere dovrebbe essere una extrema ratio”.

Esiste un abuso del diritto penale. Per risolvere un problema sociale vengono inventati dei reati. Il populismo penale è parte del problema?

“Senz’altro. È una delle cause principali. Di solito si pensa solo alla popolazione detenuta, che ha superato le 61mila unità, ma se andiamo a vedere i numeri dell’intera area dell’intervento penale, raggiungiamo numeri impressionanti: 240/250 mila persone. Dovremmo cominciare a pensare di rispondere ai problemi sociali quali la tossicodipendenza, il disagio psichico, l’immigrazione, la violenza di strada, i piccoli reati e quelli dei minorenni, in maniera preventiva; il decreto Caivano ha invece risposto con più carcere anziché con più educazione”.